CONTROLLARE I SEGNI VITALI

by Jim Cymbala - La preghiera è fonte di vita per il cristiano, una vera e propria ancora di salvezza. Vivere senza la preghiera equivale ad avere fra le braccia una bambina e vestirla di tutto punto, ma la bambina non respira! Né ora né mai quei graziosi abitini saranno in grado di stabilire i segni vitali della bambina. È inutile parlare a qualcuno che si trova in stato comatoso. Ecco perché oggi pur insegnando con grande enfasi alle chiese i risultati prodotti sono così limitati. L’insegnamento è utile solo se vi è modo di canalizzarlo a delle vite pronte a riceverlo. Se gli ascoltatori sono in coma spirituale, nonostante quello che stiamo dicendo sia giusto e dottrinalmente corretto, è impossibile parlare ed insegnare loro ciò che fa parte della vita spirituale.

 

I pastori e le chiese devono arrivare a comprendere che non possiamo considerarci dei cristiani del Nuovo Testamento se non abbiamo una vita di preghiera. Questa convinzione ci sgomenta un po’, ma con cos’altro Dio sarà in grado di fare breccia nei cuori? Riflettiamo su ciò che Atti 2:42 dice: “Essi erano perseveranti nel seguire l’insegnamento degli apostoli, nella comunione, nel rompere il pane e nelle preghiere”. Come possiamo notare, la preghiera risulta essere la normalità per la chiesa. Invocare il nome del nostro Signore è il quarto elemento della lista. Se la mia chiesa o la tua chiesa non stanno pregando, non dovremmo vantarci della nostra correttezza dottrinale o del numero di persone presenti la domenica mattina.

Mia moglie Carol ed io ci siamo detti più di una volta che se nella Brooklyn Tabernacle dovesse venir meno lo spirito di contrizione e diminuire il desiderio di invocare Dio, allora sapremo di avere un grosso problema, anche se avessimo 10.000 membri.

 

Durante un affollatissimo incontro di preghiera del martedì sera mi sono ritrovato circondato da un santo fragore fatto di preghiere ed intercessioni che riempivano la chiesa e che fuoriuscivano da ogni cuore lì presente. Mentre l’incontro stava giungendo al termine udii per caso delle mamme che intercedevano per i loro figli ribelli, uomini che chiedevano a Dio di aiutarli a trovare lavoro ed altri che ringraziavano Dio per aver risposto alle loro preghiere. In quel momento non potei fare a meno di pensare: “ciò che sto vivendo intorno a me è la cosa più vicina al paradiso che abbia mai sperimentato in questa vita. Non voglio che finisca adesso. Se mi invitassero alla Casa Bianca per incontrare dei dignitari, ciò non potrebbe mai farmi sentire la stessa pace e profonda gioia che sento qui alla presenza di gente che invoca Dio”.

VEDERE DIO IN OGNI CIRCOSTANZA

di Theodore Epp - Filippesi 1: 12-21 - La vita di Cristo dimorante in lui permise a Paolo di essere libero da ansietà e preoccupazioni per se stesso, durante il tempo della sua prigionia, che avrebbero potuto portarlo alla morte. Paolo era audace e senza vergogna e la sua unica preoccupazione era che Cristo fosse glorificato nel suo corpo indipendentemente da ciò che lo aspettava – vita o morte. Non c’era nessuna esitazione da parte sua.

 

La nostra tendenza è di pensare che queste incredibili qualità erano possibili solo nei grandi uomini di Dio, come l’apostolo Paolo, ma che sono impossibili per noi. In qualche modo Satana acceca i nostri occhi sul fatto che possiamo avere la stessa determinazione di Paolo a glorificare Cristo con la nostra vita. Cristo stesso dimorante in noi, non solo ci da il desiderio di glorificarLo, ma anche ci permette di avere il coraggio di realizzare quel desiderio.

 

Dopo aver detto del suo desiderio di piacere a Cristo in ogni cosa, sia attraverso la vita che attraverso la morte, Paolo dice: “Per me il vivere è Cristo e il morire guadagno” (Filippesi 1:21). Queste furono le basi che permisero a Paolo di vivere vittoriosamente in Cristo. Non era preoccupato di attirare l’attenzione su se stesso, piuttosto egli volle glorificare Gesù Cristo in tutto. Tutta la vita di Paolo era concentrata su Gesù Cristo.

 

E’ bene per ciascuno di noi pesare le nostre azioni e chiederci: “Ciò che faccio favorisce i miei interessi, o davvero glorifica Cristo?”

 

“Io sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me; e quella vita che ora vivo nella carne, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me“. (Galati 2:20).

UNA CHIESA CONSCIA DI DIO

di Donald Gee - Lo stesso Dio che è stato una realtà per i cristiani del primo secolo desidera esserlo per i cristiani della presente generazione. - Recentemente, mentre rileggevo in Atti 15 la cronistoria del concilio di Gerusalemme, fui colpito, come mai prima, dell’enfasi posta su DIO. Questa enfasi porta sostanzialmente all’affermazione conclusiva : “E’ parso bene allo Spirito Santo ed a noi” (v. 28). Tale linguaggio poteva sembrare originale o presuntuoso, oppure esprimeva la ferma convinzione che era proprio così. “ Dio elesse fra noi”, disse Pietro (v. 7) ; “Dio ha dato loro lo Spirito Santo, come a noi” (v. 8). Paolo e Barnaba narrarono loro “quali segni e prodigi Iddio aveva fatto per mezzo di loro fra i Gentili” (v. 12). In ogni riga si legge: “Dio – Dio – Dio”.

 

Tale linguaggio, se rispettosamente sincero, rivela l’essenza della fede cristiana. Dio è riconosciuto in ogni cosa, ma particolarmente nell’opera del Suo Spirito. Volendo, possiamo spiegare le cose per mezzo di processi naturali, ciò soddisfa la natura dell’età presente, ma la fede ci fa vedere Dio all’opera e l’amore dà a Dio la gloria.

 

La consapevolezza di Dio nella conferenza di Gerusalemme può ugualmente essere realizzata oggi. Quella conferenza fu affatto normalmente caratterizzata dall’elemento umano. Vi era stata “una grande discussione” (v. 7); gli animi si erano riscaldati (v. 2); erano coinvolte le personalità (v. 5); gli uomini si battevano con passione per i principi che ritenevano fondamentali alla salvezza (v. 1); l’aria era esplosiva. Era sorta una controversia che metteva in pericolo non soltanto l’unità della Chiesa, ma anche, come oggi noi possiamo vedere più chiaramente di loro, l’intero progresso del Vangelo. Essi superarono la crisi vittoriosamente perché 1’ esperienza della Pentecoste li aveva resi e mantenuti consci della presenza di Dio e della Sua opera inconfutabile.

 

“Dio elesse fra noi “.

 

Non vi è ombra di vanagloria nella testimonianza personale di Pietro. Dire di meno voleva dire essere non veritiero. Comunque, egli aveva atteso fino a che non era sorta una lunga discussione per intervenire. La sua esperienza fatta nella casa di Cornelio era conosciuta a tutti, come pure era conosciuto il sugello dello Spirito che aveva caratterizzato quella esperienza. Simon Pietro aveva scrupolosamente seguito la guida dello Spirito in quella circostanza, qualsiasi cosa potesse dirsi di lui in altre circostanze. Solo dopo la lotta penosa avvenuta sull’alto solaio egli aveva accondisceso a mettere a rischio la propria reputazione; ed il seguito degli eventi giustifica i suoi timori. Ma al momento egli era pienamente conscio che Dio era all’opera. “Chi ero io da oppormi a Dio? “ egli chiese. Sublime semplicità! I suoi critici tacquero. Pietro era stato l’uomo scelto da Dio per questo specifico lavoro ed il giudizio degli uomini doveva piegarsi alla verità.

 

Quali credenti Pentecostali dobbiamo credere fermamente che Dio elegge ancora oggi fra noi gli uomini di cui si serve per specifici compiti. Per eleggere questi uomini non sempre si usa dei comitati. Di una cosa possiamo essere certi che la somma delle qualifiche di due candidati rivali messe alla prova del voto che richiede una data proporzione di maggioranza per esser conclusivo, è di gran lunga inferiore alla perfetta certezza in cui Pietro ancorava la sua fede. Smisuratamente più lontana ancora dalla forma divina è la nauseabonda ambizione di uomini che cercano posti di guida e di preeminenza, i quali uomini si comportano nella religione come negli affari, calpestando ogni principio di cortesia e considerazione per gli altri nel loro desiderio di potere.

 

Molti governi di chiesa hanno cercato di approssimarsi il più possibile alla scelta divina di uomini per compiti specifici nella Chiesa. Quelli che si sono di più avvicinati al successo hanno poi generalmente fallito standardizzando un metodo e trasformandolo in un sistema. Lo Spirito Santo si rifiuta di conformarsi alle nostre denominazioni. Ma Dio continua ancora ad eleggere gli uomini, ed anche noi riconosciamo gli uomini eletti da Dio, se comminiamo nello Spirito.

 

Felicemente, tutti dobbiamo riconoscere che vi sono uomini di Dio che, proprio come Pietro, sono gli uomini di Dio nel posto voluto da Dio. Se esitiamo ad ammettere questo, siamo comunque costretti a dover ammettere che certe persone sono “le persone adatte per i posti che occupano “, il che significa proprio la stessa cosa. Solo che è meglio e più santo dare a Dio la gloria. Egli li ha eletti ; ciò è quel che conta, mentre il metodo di cui si è servito è di secondaria importanza.

 

Dio ha dato loro io Spirito Santo

 

In ciò è più facile riconoscere la sovranità e l’opera unica di Dio. E’ la prerogativa dichiarata del Cristo innalzato di battezzare nello Spirito Santo. Questa è la ragione per la quale ogni vero Battesimo nello Spirito Santo è un momento supremo in cui si è particolarmente consci di Dio, sia colui che riceve il Battesimo e sia coloro che si rallegrano con lui.

 

Consideriamo la scena a Cesarea, come riferita da Pietro. Egli sapeva di muoversi secondo le direttive del Signore, lo Spirito. Egli predicò Cristo, il Signore dei signori a quella avida compagnia di persone, i cui cuori erano pienamente disposti a credere alla Parola. Comunque, essi erano Gentili. Ma quando Dio sparse il Suo Spirito sopra di loro ed essi cominciarono a parlare in lingue, i Giudei cristiani furono meravigliati, non delle lingue, ma del fatto che coloro che le proferivano erano Gentili. Per i cristiani moderni è forse difficile comprendere lo sbigottimento di quei giudei. Con quel Battesimo Dio chiaramente dichiarava di gradire i Gentili. Una qualsiasi insinuazione che Pietro avesse lui medesimo congegnato le cose sarebbe stata fatale alla sua dignità ed alla sua testimonianza. E’ significativo il fatto che nessuno mise in dubbio le sue asserzioni.

 

La nostra testimonianza che i credenti oggi ricevono lo stesso Spirito Santo deve essere ugualmente libera da ogni insinuazione. L’affermazione che Dio dona oggi lo Spirito Santo proprio come al principio è il cuore stesso

 

:he tutto debba essere spiegato in termini naturali e che Dio non ha niente i che fare col parlare in lingue o col dono dello Spirito Santo, significherebbe negare l’opera di Dio. Per questa stessa ragione dobbiamo essere rispettosamente attenti a sapere ospitare Dio in tutte le nostre riunioni di attesa. Le nostre migliori intenzioni di aiutare i credenti a “ricevere “ il dono sono più che vane.

 

Dio compie miracoli fra loro

 

Va notato che Barnaba e Paolo non vantavano poteri personali di guarigione. Non ci è dato neppure lontanamente da comprendere che i “miracoli ed i prodigi “ venissero operati dall’ingenuità umana di soddisfare l’insaziabile domanda di evidenza del soprannaturale.

 

Ci potrebbe essere d’aiuto prendere nota dello scopo dei miracoli e dei prodigi : quello di confermare il ministerio dato da Dio agli apostoli, i quali erano mandati dallo Spirito Santo. La compassione divina si muove nel cuore del miracolo di guarigione, ma lo scopo dichiarato di questi miracoli non è quello di alleggerire indiscriminatamente i corpi dalle sofferenze umane. I miracoli erano allora l’evidenza visibile che il Signore operava con loro per confermare la Parola. La nostra dottrina in riguardo ai segni ed ai prodigi deve essere mantenuta in conformità allo scopo rivelato. Essi sono atti soprannaturali di Dio per confermare la Sua presenza e potenza con i Suoi servitori.

 

La consapevolezza di Dio rende il miracolo genuino profondamente toccante. Può smuovere al pianto i cuori di una congregazione e riempirli di santo timore e devozione. Il più umile dei missionari o degli evangelisti possiede le più alte credenziali se è evidente che Dio è con lui. Barnaba e Paolo erano stati mandati dalla Chiesa di Antiochia per le parole proferite dallo Spirito, ed essi ritornarono con chiare evidenze che le direttive erano state genuine.

 

E’ importante riconoscere che l’iddio che ha compiuto segni e prodigi e miracoli per mezzo degli apostoli ha dato anche altri doni necessari per la opera del Vangelo. Essi doni, hanno consolidato e stabilito l’opera sorta per mezzo del miracoloso, insegnando, incoraggiando ed organizzando assemblee locali. E’ anche una debolezza che prevale voler riconoscere Dio soltanto nei miracoli e nei prodigi e non riconoscerLo negli ugualmente importanti ministeri di edificazione al corpo di Cristo.

 

Una prova della maturità Pentecostale in fede e amore è l’uguale riconoscimento di Dio all’opera fra noi nei modi diversi. La consapevolezza di Dio che pervade le Chiese è un segno certo del risveglio. Una Chiesa conscia di Dio è una Chiesa vittoriosa nel legame della pace. Le attività degli uomini spesso ci dividono ; l’agire dello Spirito ci unisce sempre.

 

MEDITAZIONE

di Claude Houde - Cristo affrontò la chiesa di Laodicea, che rappresenta la Chiesa degli ultimi tempi. Le diede l’avvertimento che si estende nei secoli per parlare oggi a me e a te: “Così, perché sei tiepido…io sto per vomitarti dalla mia bocca” (Apocalisse 3:16). Che parole incredibili! Qual è il crimine, l’inimmaginabile peccato commesso dalla Chiesa moderna? Ascolta le parole di Colui che, al di sopra di tutto, cerca la nostra fede, fiducia ed arresa: “Poiché tu dici: “Io sono ricco, mi sono arricchito e non ho bisogno di nulla”; e non sai invece di essere disgraziato, miserabile, povero, cieco e nudo…Ecco, io sto alla porta e busso; se qualcuno ode la mia voce ed apre la porta, io entrerò da lui, e cenerò con lui ed egli con me” (Apocalisse 3:17 e 20).

 

Questo passo della Scrittura, così spesso citato e applicato completamente al di fuori del suo contesto, non è indirizzato a un mondo perduto che ha bisogno di “lasciar entrare Gesù”. Piuttosto, è una chiamata diretta e solenne ai credenti moderni che giacciono pigramente sui loro letti d’indifferenza, tutto sommato felici di sé stessi e della porzione che hanno. Questa generazione è stata diabolicamente accecata alla rivelazione spirituale per la quale senza una fede ardente è impossibile piacergli. Gesù sta letteralmente e drammaticamente fuori dalla porta di una chiesa autosufficiente e oh-così-soddisfatta che si affida a metodi, strategie e cambiamenti di forme e tattiche prese in prestito dal mercato secolare. Egli sta gridando, “Lasciatemi entrare! Ravvedetevi! Allontanatevi da queste cisterne rotte che non possono offrire acqua viva! Io richiedo un popolo la cui fede consentirà loro di vedere l’invisibile, credere l’incredibile e ricevere l’impossibile!”

 

Ci può essere adorazione, programmi musicali fantastici, edifici meravigliosi, frequenze impressionanti, insegnamenti dinamici, ogni programma ecclesiale e sociale immaginabile, persino un gergo cristiano e il citare la Bibbia, ma senza fede è impossibile piacere a Dio! Dio si diletta nello spostare le montagne e rilasciare fastosamente tutte le risorse del cielo per degli interventi divini straordinari quando una persona sincera si rivolge semplicemente a Lui con una fede vera e appassionata.

 

Una fede ardente che chiede con audacia ancora apre i cieli, muove il Suo cuore e la Sua mano e ci dona accesso illimitato a risorse sorprendenti, inesauribili, inspiegabili, miracolose e soprannaturali. Dio dice, “Io amo la fede! La fede fa sì che Io mi muova! La fede vedrà la Mia potenza e otterrà il Mio favore!” Come pastore a Montreal, mi serve soltanto dare un veloce sguardo alle migliaia di facce radunate di domenica mattina per ricordarmi dei miracoli di oggi, delle storie e delle testimonianze che gioiosamente annunciano al nostro mondo cinico e scettico che la fede piace a Dio!

MEDITAZIONE

di DAVID WILKERSON - Sono sicuro che nei primi giorni del suo cammino con Cristo, Paolo attraversò dei momenti terribili; e, come la maggior parte di noi, probabilmente sperò che se solo avesse confidato nel Signore abbastanza, sarebbe stato protetto da ogni male. La prima volta che Paolo venne gettato in prigione, per esempio, avrà gridato per ricevere liberazione: “Signore, spalanca le porte di questa prigione. Fammi uscire da qui per la causa dell’evangelo!” Allo stesso modo, il suo primo naufragio avrà probabilmente messo a dura prova la sua fede; e le prime percosse che ricevette potrebbero avergli fatto mettere in dubbio la capacità di Dio di mantenere la Sua parola: “Signore, Tu hai promesso di proteggermi. Non capisco perché sto sopportando questa prova orribile”.

 

Ma le cose non facevano che peggiorare per Paolo. La Scrittura non offre molte prove per cui l’apostolo abbia mai visto molto sollievo dalle proprie avversità.

Credo che al suo secondo naufragio, Paolo abbia pensato, “So che il Signore dimora in me e quindi deve avere una ragione per questa prova. Egli mi ha detto che ogni cosa coopera al bene per coloro che amano Dio e che sono chiamati secondo il Suo proponimento [vedi Romani 8:28]. Se questo è il Suo modo di causare una manifestazione di Cristo maggiore in me, che sia. Che io affondi o nuota, la mia vita è nelle Sue mani”.

Al terzo naufragio, Paolo forse disse, “Guardatemi, voi tutti angeli nella gloria! Guardatemi, voi tutti vili demoni dell’inferno. Guardatemi, voi tutti fratelli e peccatori. Sto scendendo di nuovo in acque profonde e scure e voglio che tutti voi sappiate che la morte non può trattenermi! Dio mi ha detto che non è finita per me – e io non mollo. Non chiederà al mio Signore perché vengo provato in questo modo. So soltanto che questa situazione di morte si concluderà con una grande gloria per Lui. Quindi, guardate come la mia fede ne uscirà pura come l’oro!”

 

Per dirla con parole semplici, le nostre situazioni di morte sono volte a porre fine a determinate lotte personali. Nostro Padre ci porta in un luogo in cui ci rendiamo conto di dover dipendere completamente da Cristo, altrimenti non ce la faremo. Egli vuole che diciamo, “Gesù, se Tu non mi liberi, è finita. Ripongo la mia fiducia in Te affinché sia Tu a compiere ogni cosa!”

MEDITAZIONE

di R. Bracco - Poiché tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio. Romani 3: 23 - Il mondo è dominato dal peccato; Dio lo afferma e la nostra esperienza ci obbliga ad arrenderci a questa innegabile realtà. Non mancano negatori di questa verità; individui che sostengono che il peccato è frutto dell’immagina­zione dei moralisti religiosi o sociali: l’uomo è buono ed il mondo è bello, essi affermano, e qualche piccola deviazione deve essere accettata come diversi­vo necessario per rendere più interessante la vita.

 

Ma le “piccole deviazioni” delle quali parlano costituiscono quel mare di fango nel quale tutti affogano: guerre, odio, ingiustizie, soprusi, razzismo, crimini, passioni, vizio, stanno intorno a noi per ricordarci ogni momento che il male è la regola del genere umano ed il bene è soltanto la rara eccezione.

 

Un servo di Dio scriveva molti anni fa: “Il peccato degli uomini è dimostrato dal fatto che non basta una parola, ma ci vuole un contratto; non basta una porta, ma ci vuole una serratura; non basta un regolamento, ma ci vuole un corpo di polizia”.

 

Tutti, indistintamente, tentano l’evasione, il sopruso, la frode; tutti amano il piacere proibito, l’eccitazione disonesta, il godimento impuro. Tutti hanno peccato e poiché il peccato separa ed allontana da Dio, tutti sono privi della gloria di Dio.

 

Quel mondo che è stato creato per essere non soltanto una immagine della gloria di Dio, ma il tempio stesso della benedizione divina, ha prima rifiutato e respinto il proprio Creatore ed ha poi alterato le forme che ne rispecchiavano la grandezza e la gloria. Oggi possiamo vedere ovunque l’esaltazione dell’uomo, cioè la manifestazione più impudica dell’orgoglio umano, ma non possiamo incontrare ed ammirare la “gloria di Dio” perché è assente.

 

E questa assenza, provocata dall’uomo rappresenta, in ultima analisi, la più chiara ed impressionante prova del peccato della società. Dove non c’è il sole, c’è l’ombra e dove al sole si chiudono le imposte c’è un’ombra voluta e volontariamente ottenuta; dove Dio è stato rifiutato, respinto, contestato, c’è il peccato e questo è anche oggi, come ieri, il dramma dell’umanità: uno stato generale di corruzione vissuta nell’oscurità più profonda derivante dalla separazione da Dio.

MEDITAZIONE

Prepararsi all'attacco!

 

Neemia scopre presto che non tutti sono felici del suo successo. “Samballat e Ghesem mi mandarono a dire: «Vieni, e troviamoci assieme in uno dei villaggi della valle di Ono... volevano farmi del male». Io mandai loro dei messaggeri per dire: «Io sto facendo un gran lavoro, e non posso scendere. Il lavoro rimarrebbe sospeso se io lo lasciassi per scendere da voi». Quattro volte essi mandarono a dirmi la stessa cosa, e io risposi loro allo stesso modo” (Neemia 6:2-4). Presta attenzione a questa frase: “...sto facendo un gran lavoro e non posso scendere...”. Credo sia una delle risposte migliori e vincenti per contrastare un attacco! Ogni qual volta lasci da parte il lavoro che Dio ti ha assegnato e ti abbassi al livello dei tuoi detrattori, dai al nemico dell’anima tua un segnale che la sua strategia funziona. Qualora fosse vero, aspettati pure altri attacchi del genere. Prova a riflettere: Dio interviene in tuo favore nelle difficoltà; ti difenderà, dunque, anche dalle incomprensioni. Torna con ferma decisione sul muro che ti ha chiesto di costruire e non smettere di lavorare. Non lasciarti distrarre. Nel corso della vita incontrerai tre tipologie di persone: 1) i critici. Questi sono i primi a puntare il dito accusatore e gli ultimi a stendere la mano per aiutare. 2) i prudenti. Qualora avessi dei problemi, prenderanno le distanze da te, per timore di compromettersi. Non sono persone cattive; solo che il loro mondo termina con loro stessi. Non farvi affidamento. 3) le persone impegnate. “L’amico ama in ogni tempo; è nato per essere un fratello nella sventura”. Cerca e frequenta persone di questo tipo, cammina con loro, perché sono un dono del Signore!

“L’AMICO... È... UN FRATELLO NELLA SVENTURA” (Proverbi 17:17)

 

Nel libro degli Atti, Luca scrive: “Gli indigeni usarono verso di noi una bontà non comune; infatti, ci accolsero tutti intorno a un grande fuoco acceso a motivo della pioggia che cadeva e del freddo. Mentre Paolo raccoglieva un fascio di rami secchi e li poneva sul fuoco, ne uscì fuori una vipera, risvegliata dal calore, e gli si attaccò alla mano. Quando gli indigeni videro la bestia che gli pendeva dalla mano, dissero tra di loro: «Certamente quest’uomo è un omicida perché, pur essendo scampato dal mare, la Giustizia non lo lascia vivere. Ma Paolo, scossa la bestia nel fuoco, non ne patì alcun male. Ora essi si aspettavano di vederlo gonfiare o cadere morto sul colpo; ma dopo aver lungamente aspettato, vedendo che non gli avveniva nessun male, cambiarono parere e cominciarono a dire che egli era un dio” (Atti 28:2-6). Le opinioni delle persone sono spesso volubili; devi imparare a scrollartele di dosso, allontanandole da te come Paolo ha fatto con la vipera. Gli indigeni di cui si parla, si sono ricreduti su Paolo elevandolo da criminale a divinità. È incredibile! C’è in questo episodio un insegnamento importante: diffida di chi cambia idea su di te al mutare delle circostanze. Frequenta solo chi crede in te e desidera far crescere le tue qualità. Il potente ministero di Paolo era sostenuto da persone che credevano in lui. Egli stesso attesta: “...Priscilla e Aquila ...hanno rischiato la vita per me” (Romani 16:3-4). Definisce Epafrodito: “... mio fratello, mio compagno di lavoro e di lotta... [ha provveduto] alle mie necessità” (Filippesi 2:25). Dice altresì che “...Onesiforo... mi ha molte volte confortato e non si è vergognato della mia catena” (2 Timoteo 1:16). Ricerca questo tipo di persone; saranno una benedizione per te stanne certo! -

MEDITAZIONE

VIVERE IL CRISTIANESIMO.

25 aprile 2000 Articoli di Roberto Bracco

Che cos’è il cristianesimo?

 

Questa domanda rappresenta una premessa indispensabile al soggetto che ci accingiamo a trattare.

 

Il cristianesimo è la dottrina di Cristo nella sua attuazione pratica! La dottrina di Cristo, non bisogna dimenticare, non ha soltanto un aspetto morale ed un contenuto legale, ma anche, anzi soprattutto, un aspetto ideale; cioè la dottrina di Cristo non si esaurisce nell’insegnare a vivere puramente e onestamente, ma si sofferma soprattutto a proclamare l’amore di Dio, la misericordia di Dio e le promesse di Dio.

 

Quindi possiamo dire che il cristianesimo, prima di ogni altra cosa, è la rivelazione e l’offerta della redenzione dell’umanità perduta e del dono della vita eterna.

 

Il cristianesimo, andando di conseguenza in conseguenza, e l’avvento del Regno di Dio. Per esso gli uomini, cioè i cristiani, vengono dichiarati figliuoli di Dio e cittadini di questo Regno glorioso e eterno.

 

Stabilito questo concetto fondamentale non rimane difficile comprendere come dev’essere vissuto il cristianesimo. Esso non può essere vissuto entro i confini opprimenti di un tradizionalismo religioso e non può essere praticato sotto il peso di limitazioni o compromessi. Deve essere vissuto nella libertà assoluta dello Spirito, al di fuori e al di sopra delle circostanze e delle realtà della vita contingente.

 

Purtroppo il un mondo dove la religione e diventata un accessorio della vita, dove il problema spirituale è stato trasferito dietro a quelli sociali, dove la vita dell’anima, intesa nel senso più elevato di questa parola è curata in una maniera più che secondaria; purtroppo diciamo, in un mondo dominato da queste aberranti concezioni, anche i cristiani si trascinano pesantemente sotto il peso delle più perniciose influenze.

 

Non dobbiamo quindi meravigliarci se anche coloro che dichiarano di averla ricevuta l’eredità di Dio, continuano a scalmanarsi intorno ad una eredità terrena; e se coloro che proclamano di aver ricevuto in dono la vita eterna continuano a barricarsi dietro alle realtà effimere e fuggenti di questa vita che tramonta. L’influenza del mondo dalla quale non riusciamo pienamente a “santificarci”, cioè a “separarci” o a “sottrarci ” ci turba e ci precipita nella confusione. Il cristianesimo è “la vita eterna”, quindi il cristianesimo sbiadisce ed annulla questa vita che fatalmente ci sfugge. Se noi viviamo rettamente il nostro cristianesimo non possiamo vivere “questa vita”, ma dobbiamo vivere la vita eterna.

 

Questa vita non può essere il nostro scopo, la nostra gioia, la nostra finalità perché il cristianesimo ci ha dato uno scopo, una gioia ed una finalità nella vita eterna. Non possiamo avere timore di perdere questa vita perché ormai essa è stata superata dalla vita eterna.

 

Nella vita presente, in un cristianesimo genuino, la visione non si ferma al tempo e alle circostanze e il credente non può offrire i suoi slanci per conquistare le realtà visibili perché tutto viene vissuto in funzione di conquista eterna: i programmi, le attività; i dolori, le prove; le gioie, le esperienze; tutto viene vissuto fuori dai limiti del tempo e fuori dallo scenario del mondo, nella vita eterna.

 

Se crediamo che il nostro cristianesimo cioè se crediamo che la vita eterna ci è stato donata non possiamo agire diversamente altrimenti il nostro contegno infirmerebbe la nostra testimonianza di fede.

 

Se voi non riuscite ad oltrepassare l’orizzonte del tempo e non riuscite a liberarvi dalle imposizioni di questa vita, non potete vivere cristianamente. Il cristianesimo è anche ricchezza e gloria eterna e perciò il cristianesimo spegne il luccichio delle gemme e annulla il brillare dell’oro. Le ricchezze che vivono nel tempo e nello spazio; la gloria che impera sotto il sole vengono superate dal cristianesimo. Un cristianesimo autentico non ci ispira ad accumulare ricchezze che sono soltanto fango, non ci consiglia di cercare una gloria che è soltanto apparente perché ci offre vera ricchezza e vera gloria.

 

Se le nostre mani continuano a stringere avidamente le sudice banconote o le nostra braccia continuano a serrarsi con cupidigia intorno ai tesori, noi non siamo cristiani.

 

Coloro che si consumano per accumulare beni fugaci dimostrano di non stimare e di non credere in quelli eterni e quindi dimostrano un cristianesimo falsificato.

 

Il vero cristianesimo riempie l’uomo e lo riempie non soltanto per approvarlo con la gioia, con la pace, con la speranza e con la fede, ma lo riempie per renderlo totalmente occupato dalle realtà eterne. Nel cristianesimo queste realtà occupano non il primo, ma l’unico posto e tutte le altre cose si trasformano in accessori insignificanti agganciati al tempo e alle circostanze.

 

Oggi si ode dire frequentemente che si incontrano molti cristiani che non trovano il tempo per leggere la bibbia o per pregare; che non trovano l’opportunità per frequentare e curare la comunione fraterna; che non trovano la capacità per offrirsi per il servizio di Dio; che non trovano il denaro per contribuire al lavoro dell’Eterno. Che cosa possiamo dire di questi cristiani? Non molto, ma possiamo dichiarare che non vivono cristianamente cioè che non sono pieni, traboccanti di quella potenza divina che si chiama cristianesimo.

 

Essi trovano il tempo necessario al loro lavoro e alle loro esigenze di vita fisica; trovano le opportunità necessarie al raggiungimento dei loro scopi; trovano la capacità per formarsi una posizione o migliorare e trovano il denaro per circondassi di attenzioni e cure, ma non trovano nulla per la vita eterna.

 

Che cosa dimostrano?

 

Dimostrano che vivono e vogliono vivere la loro vita terrena, ma non vivono e non vogliono vivere il cristianesimo. Sì, si accontentano di vivere un cristianesimo parziale con la loro confessione verbale, con le loro rare presenze nella comunione fraterna, con il loro magro contributo alla causa di Dio. Un cristianesimo che può esser assomigliato ad una “volgare religione”, che si professa per necessità sociale o per testamento interiore, che si professa senza credere eccessivamente e senza sacrificarsi profondamente.

 

Il cristianesimo ci fa trovare tempo, forza e denaro; ci fa dare slancio, entusiasmo e fede in vista della vera vita, della vita eterna. Forse non avremo più tempo per curare i nostri interessi, per valorizzare il nostro lavoro e dì nostri programmi; forse non riusciremo ad aumentare le nostre entrate o i nostri beni, ma potremo dare sempre a Dio quello che egli ci chiede.

 

Nel vero cristianesimo non si attribuisce più valore alle realtà che passano e quindi, come già detto, le cose che vogliono distrarre l’uomo da Dio diventano circostanze insignificanti che possono facilmente essere subordinate al piano di Dio e l’uomo diventa ricco, forte, pronto sufficientemente per compiere tutto il volere divino.

 

La vita eterna domina il pensiero che ispira l’azione del cristiano ed anche la sua personalità ne viene profondamente permeata.

 

Il cristianesimo infatti è anche personalità nuova. Il cristiano è figliolo di Dio in senso proprio e diretto ed egli vive in relazione a questa sua eminente personalità.

 

La gloria o il vituperio del mondo non possono compiere la più lieve scalfitura in coloro che non sono più del mondo. I cristiani sanno amare perché non vengono turbati dalle offese; sanno essere umili perché non vengono esaltati dalla lode. Essi non danno valore alle cose rivolte ad una personalità che non è più la loro, cioè ad una personalità umana e terrena alla quale sono morti, perché come “nuove creature” vivono una nuova personalità che può essere facilmente elevata sopra i tempestosi sentimenti umani.

 

Il cristianesimo è il cielo, la gloria, la luce, la vita; viverlo vuol dire vivere nel cielo, nella gloria, nella luce e nella vita. Il compromesso è infedeltà come è infedeltà un cristianesimo ridotto alle dimensioni di una tradizione religiosa. Se tutta la nostra vita, i nostri beni, i nostri desideri, i nostri programmi non sono nascosti con Cristo in Dio noi non viviamo un cristianesimo che possa essere definito veramente tale. Gli egoistici, gli avari, gli indifferenti, i pigri, gli oziosi, i mondani, i sensuali… vengono rifiutati dal cristianesimo che o si vive interamente o non si vive affatto.

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5 maggio 2012 Sermoni (Testo)

Sermone predicato alla VI Conferenza Pentecostale Mondiale svoltasi a Gerusalemme, dal 19 al 21 Maggio 1965, nel culto di apertura.

 

“all’uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno; a ciascuno secondo la sua capacità” (Matteo 25:15)

 

Questo verso contenuto nel lungo sermone profetico sembra riassumere tutto l’insegnamento di esso; non dobbiamo ignorare infatti che il sermone profetico non è soltanto l’annuncio, l’anticipazione degli avvenimenti futuri, delle cose degli ultimi tempi, ma è anche e forse soprattutto una lezione panoramica di vita cristiana! E logico che sia cosi perché se il sermone ci parla del ritorno di Cristo, dello Sposo, del Signore, del Padrone, del Giudice deve anche parlarci del modo adatto per riceverLo ed incontrarLo. La lezione ci insegna la vigilanza, la fedeltà, il fervore, il Servizio, l’amore …. Essa si esprime con accenti semplici, ma decisi e ci ripete:

 

Egli torna, può tornare di notte, come per i due che stavano assieme in un letto; può tornare all’alba come per le due donne che macinavano unite alla stessa può tornare di giorno come per i due uomini che lavoravano fianco a fianco nei campi, nello stesso tempo, torna per gli uni di notte per gli altri di giorno, per tutti all’improvviso e coloro cristiana saranno presi e gli altri lasciati.

 

Egli torna …. vuoi trovare servi sobri, equilibrati e pieni di premura nel suo servizio; servi che non “reputino tardanza” il passar degli anni o dei secoli ma che sappiano dare cibo e guida ai loro conservi.

 

Egli torna …. può venire quando le ombre della notte sono calate e si sono fatte fitte, quando, quando tutto è invito al riposo e al sonno, quando il grido dell’annuncio: – Ecco lo Sposo viene … – può risuonare come una parola che laceri l’aria e ridesti la vita Egli viene e vuoi trovare un piccolo orciuolo pieno d’olio, perché quelle vergini che potranno far brillare la luce della loro lucerna e spandere attorno il lieve calore di esse saranno accolte nelle stanze tranquille e luminose della gioia eterna.

 

Egli torna e torna per chiamare attorno a se i servi ai quali ha affidate le sue ricchezze; vuole una relazione che dica del loro servizio, della loro dedizione, della loro attività ed Egli è pronto a premiare, pronto a punire, pronto a lodare e pronto a biasimare secondo l’opera di ciascuno.

 

Egli torna per accogliere gli uomini e separarli; è ancora e sempre il Pastore, anzi il Buon Pastore, ma questa volta divide gli agnelli dai capretti: torna per mettere i capretti alla sinistra e gli agnelli alla destra perché i primi sono l’espressione dell’odio e dell’indifferenza ed i secondi l’impersonificazione dell’amore e della sensibilità.

 

Egli torna … Egli torna… Egli torna… Egli torna… Egli torna…

 

Ecco davanti a noi i cinque aspetti d’una lezione che c’insegna profondamente l’importanza d’una vita feconda ed esuberante. La sintesi della lezione è contenuta nel nostro testo che ci dichiara come Iddio opera verso noi e come noi dobbiamo operare verso Dio.

 

COME OPERA DIO VERSO NOI ?

 

Paolo scrive nella sua ultima epistola “Io ho finito il corso …”; si riferisce certamente anche al corso della sua vita, ma vuole soprattutto parlare del “corso” che Iddio ha posto davanti a lui, per adempiere il piano della sua volontà e del suo servizio. Ognuno di noi, sembra dirci il nostro testo, ha un corso che è una serie di opportunità concesse da Dio per esperimentare la nostra personalità cristiana.

 

Nessuno dopo essere stato chiamato da Dio viene lasciato in ozio perché il piano divino prevede un “corso” per tutti, tutti devono assumersi una personale responsabilità nel cospetto del Signore ed operare, mentre sono nel corpo, in maniera da essere retribuiti alla fine. Come credenti come ministri come chiese, come movimenti abbiamo ricevuto da Dio un programma e in questo sono contenuti le opere preparate per noi le opportunità per la nostra vita. Ricordiamoci: le opportunità dei servi che ci vengono presentate dal testo della nostra meditazione sono anche le nostre opportunità. Ma Iddio non prepara soltanto un corso, delle opportunità, ma offre anche un capitale; non possiamo preparare le opere da noi stessi e tanto meno possiamo operarle con le nostre risorse naturali: ogni sufficienza ci viene da Dio. Egli si ricorda che la nostra natura è debole che la nostra povertà è profonda Egli vede che senza di Lui non possiamo far nulla anzi che non siamo neanche capaci a pensare cosa alcuna … Le nostre forze, i nostri eserciti senza lo Spirito del Signore non potrebbero andare molto lontani. Colui quindi che offre le opportunità offre anche il capitale, il Suo capitale. Grazia, potenza, sapienza autorità e molti altri nomi simili a questi ci parlano del capitale di Dio; cioè del tesoro che Egli affida a coloro che sono stati chiamati a fruttificare alla gloria del Suo Nome.Noi abbiamo testimoniato e testimoniamo che la nostra vita è stata resa capace di operare le opere di Dio soltanto dal momento che abbiamo ricevuto il capitale di Dio: questa testimonianza è un riconoscimento della debolezza e della povertà umana ed un’esaltazione della potenza divina cioè del capitale di Dio.

 

Il sermone profetico ci precisa anche che il capitale viene affidato e suddiviso in proporzione delle capacità di quanti sono chiamati al servizio; nessuno è dimenticato, tutti ricevono, ma ciascuno riceve secondo le proprie capacità. Questo vuoi dire forse che le responsabilità di un ministro si differenziano dalle responsabilità di un semplice credente, come le responsabilità d’una chiesa sono diverse dalla responsabilità d’una missione, ma vuoi dire soprattutto che le vocazioni e i doni di Dio esigono una qualificazione una idoneità da parte dell’uomo.

 

Quando parlo di qualificazione non voglio e non posso riferirmi a quelle capacità naturali od umane che contraddistinguono gli uomini gli uni dagli altri. Se Gesù stesso ha detto: Ti rendo lode o Padre che hai nascosto queste cose ai savi e agli intendenti e le hai rivelate ai piccoli fanciulli, è chiaro che le qualifiche terrene non hanno nessun valore davanti a Dio. Iddio ha amato e scelto un popolo debole, povero, incolto perché ha voluto mettere l’eccellenza della Sua grazia in vasi di terra che facessero ancora più risaltare la gloria di essa, ma questa grazia eccellentissima, questa potenza divina è stata ripartita secondo la misura del dono di Cristo in ragione delle capacità individuali.

 

Davanti a Dio la fede è capacità, la consacrazione è capacità, l’umiltà sincera è capacità, la sottomissione è capacità: queste cose possono anche trovarsi in individui che non hanno capacità naturali ed umane, ma Iddio terrà conto delle capacità spirituali e non di quelle naturali.

 

E’ incoraggiante sapere che anche se non possediamo posizioni sociali e sapienza umana possiamo però avere grandi capacità davanti ai Signore per il servizio del Signore. Non vogliamo dimenticarci infatti che non tutti i padri della fede sono stati uomini di grande cultura o di grande ricchezza ed anche se pensiamo ai pionieri della Pentecoste noi ne ricordiamo molti reclutati da Dio fra le classi più povere e più umili della società.

 

COME DOBBIAMO OPERARE NOI VERSO DIO?

 

Come assolveremo il compito ricevuto da Dio?

 

Operando alacremente ed audacemente alla gloria di Dio.

 

Non siamo stati eletti per custodire gelosamente ed egoisticamente quello che abbiamo ricevuto tenendolo serrato nella nostra mano, nel nostro cuore o, forse nelle nostre chiese. Il cristiano non è una “cassetta di sicurezza”, ma è un agente bancario al servizio dell’Eterno. La sterilità è condannata da ogni pagina dell’Evangelo perché la semenza del Regno è stata sparsa dal gran Seminatore perché sia fecondata e produca frutto.

 

E’ ben triste la situazione di quei credenti, di quelle chiese o di quei movimenti che non possono presentare davanti a Dio nulla all’infuori di quello che hanno ricevuto da Lui! Sono stati illuminati, presentano la loro conoscenza; sono stati liberati dal mondo, presentano la loro separazione passiva; sono stati visitati dalla Sua presenza, presentano la loro personale emozione.

 

Non hanno altro da presentare e credono di dare abbastanza a Dio facendo mostra delle esperienze che hanno fatto in Lui. Il fico maledetto da Gesù, l’albero sterile della vigna, la vigna stessa descritta da Isaia, ci ricordano in maniera altamente drammatica che Iddio non può accontentarsi di “vedere una pianta nella Sua vigna” e di “mirare un albero ricco di fogliame” o di annoverare dei “tralci che ben sembrano come gli altri, ma non portano frutto”.

 

Egli ha dato un corso, delle opportunità, un capitale, ora vuole il frutto e lo vuole abbondante e permanente. Un frutto è quello che noi dobbiamo a Dio, ma …. attenzione … Iddio vuole il frutto ed anche il capitale. La preoccupazione di portare il frutto non deve far cessare la preoccupazione di conservare il capitale perché se noi ci presentassimo nel cospetto dell’Eterno col frutto, ma senza capitale saremmo nella stessa condizione che se ci presentassimo col capitale sì, ma senza il frutto.

 

Il Signore approvo e benedisse quei servi che si presentarono davanti a Lui col doppio di quello che avevano ricevuto perché in quello che avevano nelle mani c’era il frutto ed il capitale. Immaginiamoci che l’ultimo servo, quello infedele, si fosse presentato per dire: Signore io ho un talento, è quel che ho guadagnato commerciando con il tuo capitale, ma purtroppo il capitale non c’è più, io l’ho perduto. Quale sarebbe stata la risposta del Signore? Sicuramente quella che troviamo nel messaggio alla chiesa di Efeso contenuto in Apocalisse 2:4 -

 

“Io conosco le tue opere, la tua fatica, la tua costanza; so che hai costanza, hai sopportato molte cose per amor del mio nome e non ti sei stancato. Ma ho questo contro di te: che hai abbandonato il tuo primo amore.”

 

Non vi sembra di udire lo Spirito di Dio che dice: “Io ti ho dato l’amore e mediante quel capitale tu hai prodotto molte opere ed io vedo le tue opere ma non invece più l’amore che le ha suscitate e prodotte”?

 

E quando ci sono i frutti senza il capitale; quando ci sono le opere senza l’amore, il lavoro del credente non vale molto davanti a Dio.

 

QUAND’È CHE SI RECA IL FRUTTO SENZA IL CAPITALE?

 

Guardiamo un poco a noi, a noi Movimento Pentecostale, per fare della lezione un’applicazione diretta che possa insegnarci profondamente il messaggio espresso da questo passo: Abbiamo frutti oppure abbiamo soltanto quello che abbiamo ricevuto, cioè soltanto il capitale celeste; o forse non abbiamo più il capitale ricevuto da Dio e parliamo soltanto dei frutti ?

 

I frutti ci sono, è possibile passare in rassegna i meravigliosi progressi e le colossali conquiste delle nostre chiese, del nostro Movimento.

 

La Pentecoste ha fatto passi in avanti, passi giganteschi che s’impongono alla stima e all’ ammirazione della cristianità; insomma la Pentecoste appare oggi nello splendore dei risultati del suo lavoro; del suo traffico. I frutti sono qui e sono evidenti ma abbiamo custodito e serbato il capitale?

 

Contempliamo ed ammiriamo pure le tante e belle Scuole Bibliche che sono sorte in America, in Europa, in Asia, in Africa; contempliamo ed ammiriamo pure la miriade di missioni che si sono iniziate nel mondo: questi sono i frutti nati dalla “Passione di Cristo”, cioè da quel fuoco divino che i padri della fede hanno sentito scendere di nuovo molti anni fa’, quando il risveglio è venuto.

 

La Passione di Cristo c’è stata data dal cielo quale capitale divino e da quel tesoro inestimabile sono nate le missioni, sono sorte le scuole; quell’ardore consumante acceso nell’anima dall’amore di Cristo ha suscitato un servizio evangelistico caldo, entusiastico: il bisogno di conquistare il mondo; di portare i perduti alla salvezza, i peccatori ai piedi della croce ha spinto gli operai cristiani in ogni luogo e sono nate le missioni nei posti più reconditi, nei paesi più inospitali fra le popolazioni più ostili.

 

Quella medesima passione ha portato in essere le Scuole Bibliche cioè quelle palestre cristiane necessarie ad appagare il desiderio di formazione spirituale o ministeriale delle giovani schiere; il bisogno di operai sempre più numerosi, di operai sempre più preparati è stato avvertito dalla “passione di Cristo”.

 

Oggi ci sono missioni e scuole e possiamo passare in rassegna all’immenso e stupendo lavoro compiuto che è il frutto della passione di Cristo, ma io chiedo quasi con agonia: “Il frutto è qui davanti a noi e soprattutto davanti a Dio, ma il capitale dov’è? C’è ancora quella passione ardente che ha prodotto questi stupendi risultati? La passione di Cristo è ancora nei nostri cuori, nella nostra vita nelle nostre chiese, nel nostro Movimento?

 

A me sembra di vedere che oggi la passione si è smarrita e pochi sono coloro che sanno ancora agonizzare per i perduti; quel fuoco bruciante che rendeva ogni pentecostale un missionario sembra coperto dalla cenere dell’indifferenza ed anche se si vuole fare del proselitismo, non si vede più o si vede raramente spasimare per strappare un peccatore dall’inferno.

 

Non basta lavorare per accrescere numericamente le chiese, è necessario soffrire per la reale salvezza dei perduti. C’è differenza fra conquistare ed aggiungere persone alla chiesa anche senza che abbiamo fatto un’esperienza di rigenerazione e strappare anime all’abisso. Quante missioni infatti rappresentano oggi soltanto un centro di cultura cristiana e quante Scuole Bibliche si sono trasformate in Istituti di avviamento professionale; perché?

 

Perché i frutti ci sono, sono evidenti, ma il capitale celeste forse non c’è più.

 

Attenzione! La presenza dei frutti, dei risultati l’evidenza del lavoro compiuto potrebbe velarci gli occhi fino al punto di non farci vedere che il capitale è perduto …. attenzione perché Colui che ci chiama per esaminarci vuole i frutti ma anche il capitale. Consideriamo brevemente un altro talento che è stato affidato da Dio al Suo popolo in questa generazione: l’amore!

 

Dall’amore di Cristo è nata la comunione fraterna, ma soprattutto, nella pratica cristiana, dall’amore di Cristo sono nate le opere sociali ed assistenziali. Quando il Movimento Pentecostale si è costituito in organismo ecclesiastico era povero, inorganizzato, privo di ogni risorsa, ma sotto la spinta dell’amore opere grandiose e meravigliose si sono compiute in pochi anni ed è bello, in questo Convegno, parlare degli orfanotrofi delle case di riposo, delle scuole di cultura; cioè e bello inventariare tutte quelle attività che hanno potuto sanare piaghe e sofferenze o che sono andate incontro alle necessità più imperiose ed urgenti del popolo.

 

Oggi queste opere sociali e assistenziali stanno davanti a noi come frutto dell’amore che Iddio, per lo Spirito Santo, ha sparso nel cuore del suo popolo, ma il capitale esiste ancora? Esiste ancora quell’amore divino dal quale queste opere sono nate, sono venute in esistenza? Non c’è forse pericolo che anche questi frutti divengano i frutti di una pianta artificiale, di radici artificiali ?

 

Dov’è l’amore ardente caratteristica umana del Cristianesimo e manifestazione principale del risveglio pentecostale? Siamo ancora una famiglia sola come al principio? Sappiamo ancora amarci fino al rispetto più profondo e al sacrificio più epico?

 

Vi ricordate quando siamo entrati nel risveglio della pentecoste: abbiamo ricevuto la medesima sensazione che si riceve fisicamente quando si entra in un luogo ospitale, dopo aver lottato con la bufera ed il freddo di fuori; il dolce tepore dell’amore ci ha avvolti col suo alito miracoloso e ha ridestato in noi la vita spenta dal gelo del peccato e del mondo.

 

Abbiamo subito veduto che stavamo nel mezzo dei discepoli del Maestro; l’abbiamo veduto dall’amore intenso che si portavano gli uni gli altri: quel vero affetto, quelle sincere premure, quella familiarità autentica, quella prontezza nell’aiuto, nel conforto, nella consolazione; quella comunione nella gioia, nella sofferenza ci hanno fatto chiaramente riconoscere che avevamo incontrato un popolo che aveva ricevuto il patrimonio dell’amore di Dio.

 

Fratelli da quel patrimonio, da quell’amore sono nate le opere assistenziali e sociali ed oggi esco qui davanti a mi le opere, i frutti, ma il patrimonio c’è ancora? Mi sembra che i nostri rapporti si siano notevolmente intiepiditi; la nostra comunione è diventata alquanto superficiale e formale ed in quanto alla familiarità trovo che non si allarga oltre il cerchio delle amicizie personali ed anche questa è più ispirata da convenienze sociali che non dalla carità di Cristo.

 

Possono i convertiti di oggi ritrovare fra noi il patrimonio che noi abbiamo trovato? Possono avvertire lo stesso benefico calore che ha avvolta e vivificata l’anima nostra quando siamo entrati nella Pentecoste?

 

Fratelli Iddio vuole il frutto, ma anche il capitale! Io penso ora ad un altro meraviglioso talento affidato da Dio al Movimento Pentecostale: la potenza! Le mie parole non possono illustrare la gloria e la grandezza di questo capitale celeste, ma voi che lo avete ricevuto, che b avete toccato, che lo avete anche trafficato sapete bene della soprannaturale eccellenza di esso.

 

La potenza spirituale è stata la ricchezza del Movimento Pentecostale fin dai primi giorni e se uomini senza mezzi, senza posizioni, qualche volta senza cultura hanno potuto mettere di nuovo il mondo sottosopra è stato proprio perché la potenza è scesa ancora una volta dall’Alto.

 

Potenza di parola, potenza di ministerio, potenza di opere … non ricordate anche voi quella potenza che travolse i ragionamenti degli avversari della Pentecoste, quella potenza che risuscitò i doni dello Spirito nella chiesa, quella potenza addirittura che rese superflui medici e medicine per il popolo di Dio?

 

Un fiume impetuoso è sceso dal Trono di Dio e fiumi di acqua viva sono sgorgati dal seno di un popolo credente e queste onde celesti si sono allargate ed hanno manifestata la gloria del cielo. Proprio come ai giorni della Pentecoste folle sono state attirate e conquistate da questa potenza e da quelle folle sono nate le comunità, le chiese locali e proprio come ai giorni della Pentecoste uffici, compiti e organizzazione sono venuti da questa potenza: voi ricordate i primi ordinamenti di Gerusalemme, le prime elezioni fra i santi di Gerusalemme, i primi diaconi, il primo convegno … Come allora, cosi in questi giorni, dalla Potenza sono venute le comunità, è nata l’organizzazione e le comunità fiorenti e numerose e l’organizzazione accurata ed efficace si presentano davanti a noi come il frutto della potenza Il frutto è qui, davanti a noi, bello, suggestivo .ma abbiamo conservato il capitale?

 

Possiamo presentare a Dio la rendita dei talenti ed assieme a quella anche i talenti che egli ci ha affidati?

 

Predicatori eloquenti non mancano certamente in questi giorni, e ministri abili non scarseggiano; sembra anche che i guaritori siano numerosi … eppure molti sono costretti a dichiarare “Fratelli abbiamo perduta la potenza!”

 

L’arte oratoria od i metodi psicologici, la formazione tecnica del ministerio, non hanno nulle in comune con la potenza dello Spirito Santo e noi non abbiamo ricevuto da Dio arte e tecnicismo, ma potenza divina.

 

Ai giorni dei Padri della Pentecoste non si aspettava un guaritore per esperimentare la virtù sonatrice perché in ogni gruppo, in ogni famiglia si sapeva esercitare la fede e realizzare la potenza necessaria per essere sanati. Attenzione, non voglio pronunciare un giudizio negativo sui doni delle guarigioni, ma voglio soltanto mostrare l’assenza di un patrimonio affidato da Dio alla chiesa. Non vi ricordate quando in una vita cristiana semplice, molto semplice, tutto era gloria, tutto era miracolo, tutto era potenza? I frutti della potenza sono belli e noi rimaniamo in ammirazione davanti alle migliaia e migliaia di comunità che sono sorte, si sono fortificate, accresciute ed anche arricchite. Ma se queste comunità, con tutta la loro ricchezza e la loro organizzazione, stanno per diventare una denominazione come tante altre, appoggiate su un fondamento che non c’è più con la gloria di un passato ormai irrimediabilmente tramontato, allora io Dico: Questo frutto non può compensare la perdita biblica del capitale.

 

Il frutto è bello e allettante, ma la potenza dov’è? Dov’è quel fuoco, quel vento impetuoso, quell’autorità divina che erano ieri nella Pentecoste? Iddio vuoi vedere il capitale, il Suo capitale!

 

Fratelli, forse troverete che questo messaggio suona come una lamentazione, ma chissà che il ministero di Geremia non sia più necessario e più opportuno di qualunque altro ministero in quest’ora?

 

No! Non possiamo sentirci tranquilli se nella nostra vita è assente il frutto dei talenti ricevuti da Dio: una vita sterile non è approvata dal cielo, ma non possiamo neanche sentirci tranquilli se ci presentiamo con le braccia piene di frutto e non abbiamo più quello che ci è stato affidato da principio. Quando l’Eterno ci chiama per comparire davanti al Suo esame, dobbiamo rispondere con la gioia del servo fedele che sa di essersi prodigato in una vita e in un lavoro fecondo, ma anche rispondere con la gravità dell’amministratore che ha saputo conservare gelosamente il deposito ricevuto dal cielo.

 

Fratelli, mentre in quest’ora Iddio ci chiama ad esaminare la nostra posizione, non lasciamoci eccessivamente entusiasmare dalla gioia della comunione fraterna o dalla soddisfazione del lavoro e dei risultati che possiamo relazionare, ma guardiamo se siamo i custodi dei talenti divini che l’Eterno ha largito al risveglio pentecostale.

 

La Pentecoste s’avvicina: cerchiamo un risveglio per il risveglio affinché possa essere rinnovato in noi il capitale di Dio e mettiamoci poi d’impegno a farlo di nuovo fruttare serbandolo anche con timorata diligenza nella nostra vita.

 

 

MEDITAZIONE

DIO VUOLE SALVARE IL PECCATORE

4 novembre 2013 Edificazione (Autori Vari)

di JACK HAYFORD - L’onestà verso Dio è una premessa indispen­sabile per una preghiera efficace. Se non ri­spettiamo questa premessa corriamo il rischio di finire nella trappola che Satana, il nostro nemico mortale, è sempre pronto a tenderci. Finiremo quindi per cadere in un circolo vi­zioso che renderà la nostra vita spirituale as­solutamente inefficiente. Se ci troviamo in questa situazione, ci chiederemo inevitabil­mente: »Come posso permettermi di pregare, dal momento che ho deluso il Signore?« Il ri­cordo di un recente peccato o di un episodio accaduto molto tempo fa si farà strada nella nostra mente e finirà per dominare i nostri pensieri e paralizzare la nostra fede, che è di vitale importanza nella preghiera.

 

Ben a ragione Satana viene descritto nella Bibbia come il nostro nemico mortale e il no­stro avversario. Ogni volta che mi sentirò col­pevole, egli approfitterà della situazione per accusarmi e convincermi della mia indegnità. Se io mi azzarderò a pregare malgrado queste accuse, Satana mi metterà davanti le sue ac­cuse, dandomi la sensazione che ciò che sto facendo è perfettamente inutile. »Tu hai già rovinato tutto! Come puoi aspettarti di essere udito dal Signore? Non hai proprio più nes­sun diritto. Dio lo sa e anche tu lo sai! Non capisci che quello che fai non ha più senso? Smettila!«

 

Ci sono delle persone che riescono a supe­rare questa barriera di bugie e che, in qualche modo, pregano lo stesso. Le loro parole però sembrano assolutamente inefficaci sotto il bombardamento delle accuse di Satana. E’ scomparsa completamente quella forza crea­tiva che si rende manifesta quando ci avvici­niamo con coraggio e con fiducia al Signore dell’universo.

 

salvezza24Come possiamo aspettarci di trovare atten­zione e considerazione presso Dio in una si­tuazione come questa? Il diavolo ha ragione. Non ha nessun senso. Allora perché continua­re a pregare? Il diavolo ha ragione. Tanto va­le non farlo più. Abbiamo invece la sensazione di presentarci come gli ambasciatori di un paese la cui bandiera abbiamo poco prima gettato con disprezzo nel fango.

 

Pensa un po’: cosa mai può aver prodotto in Satana un cambiamento tale da portarlo a di­fendere la gloria del Signore invitandoti a te­nerti lontano da Lui a causa della tua sporci­zia? Non c’è nessuna cosa che possa cambia­re Satana. Egli cercherà sempre di guastare il nostro rapporto con Dio. Quando il diavolo scende sul terreno di battaglia contro un cre­dente, e con intenzioni apparentemente giu­ste, possiamo essere certi che ci sta tendendo una trappola. La verità è che il Dio onnipo­tente che serviamo è anche il Dio della gra­zia.

 

Dobbiamo imparare a superare questo osta­colo che ci preclude la strada che conduce al­la preghiera efficace e creativa. Dobbiamo combattere e vincere quel senso di colpevo­lezza che ci dà la sensazione di aver fallito e di essere quindi indegni di rivolgerci corag­giosamente al Signore, presentandogli le no­stre richieste.

 

Come sbarazzarmi della mia biancheria sporca per poter comparire davanti al trono di Dio? Se guardiamo le cose in superficie, il peccato è veramente un ostacolo tra noi e Dio. Se però consideriamo la situazione in profon­dità, ci accorgeremo che il sacrificio di Cristo ci riabilita di fronte al Padre.

 

Tieni conto di questi fatti:

 

Il mio peccato dà a Dio la possibilità di usare la Sua grazia verso di me.

Il mio peccato mi ricorda costantemente che ho un bisogno estremo del Signore.

Se confesso il mio peccato, Egli può mo­strarsi misericordioso verso di me.

Se faccio ordine nella mia vita peccami­nosa, saranno proprio i miei peccati che mi porteranno ai piedi della croce, la quale è una sorgente di grande forza perché il sangue di Gesù ha sempre il potere di lavare le mie colpe.

Il perdono dei miei peccati chiuderà la bocca al mio nemico che non potrà più accu­sarmi. Era proprio lui infatti che cercava di te­nermi lontano da Dio a causa delle mie colpe.

L’apostolo Paolo venne accusato di inco­raggiare la gente a peccare. Era naturalmente una calunnia ed egli si scagionò dalle accuse (Romani 3,8 – 6,1.2).

 

E’ facile però comprendere come abbia avu­to origine questa accusa. Ogni dottrina che si basa sulla Bibbia e che tratta della grazia in­finita di Dio suona come un invito al peccato per tutti coloro che sono arroganti e presun­tuosi. Noi non arriviamo davanti a Dio dopo aver presentato un biglietto d’ingresso che di­mostra la nostra integrità. D’altra parte non è nemmeno giusto presentarsi a Dio con trascu­ratezza, alzando le spalle e mormorando del­le facili scuse.

 

Per giungere alla presenza di Dio è necessa­rio possedere una giusta dose di coraggio mi­sto ad umiltà. Il peccato, qualunque esso sia, non può venire nè ammesso nè scusato. Ma non è nemmeno giusto dare al peccato un’im­portanza esagerata e considerarlo come un ostacolo alla preghiera.

 

Come risolvere il problema?

 

1. Cerca di comprendere bene la posizione di Dio. Egli è dalla parte del peccatore. Coloro che criticavano Gesù continuavano a meravi­gliarsi di vederlo spesso in compagnia di per­sone che certamente non avrebbero potuto esibire un certificato di conferma della loro integrità religiosa e che non godevano di una reputazione perfetta dal punto di vista mora­le. »Quest’uomo cerca la compagnia di pub­blicani e di peccatori!«. Quel che sembrava più incredibile non era il fatto che Gesù pas­sasse il suo tempo in loro compagnia, ma che sembrasse avere una grande influenza su di loro invece di lasciarsi influenzare.

 

Dio ha pazienza con i peccatori ma non tol­lera il peccato. »Figlioletti miei« scrive Gio­vanni nella sua prima lettera, »io vi scrivo queste cose affinché non pecchiate.« (1 Giov. 2,1) –

 

Un lettore superficiale potrebbe sentir­si in colpa dopo aver letto questi versi, ma la frase che segue spiega la situazione in modo più dettagliato. »Se alcuno ha peccato, noi ab­biamo un avvocato presso il Padre, cioè Ge­sù Cristo il Giusto, ed egli è la propiziazione per i nostri peccati.« (v.1-2) – La Parola di Dio dice anche: »Non peccate!« ma poi si vol­ge e ci sussurra »ma se proprio ti accade di peccare…«

 

Il nostro Padre divino non è affatto indiffe­rente verso il peccato, ma non si sente nem­meno scandalizzato se pecchiamo. Ha già preso i provvedimenti necessari per tutti noi se ciò dovesse accadere; non lo ha fatto per invitarci a peccare ma per poterci liberare dal senso di colpa che è una conseguenza del pec­cato.

 

2. E’ un grave errore da parte nostra credere che la grazia divina faccia sì che Dio chiuda un occhio sui nostri peccati. La teologia im­pregnata di dottrine umanistiche ci fa vedere il Padre nella forma di un vecchio inerme sempre pronto a perdonare perché non può fa­re nient’altro in sua difesa. Ci sono anche co­loro che sono pronti ad assicurare che Dio perdona ogni qualvolta gli viene richiesto, e ciò per il semplice fatto che »il perdono è gratuito ed è giusto, ed Egli si è impegnato a per­donare.« Se così fosse, sarebbe come un pat­to concluso tra due parti che si trovano allo stesso livello, che si potrebbe formulare nel modo seguente: noi perdoniamo Dio per la­sciar andare avanti questo mondo così mal combinato ed Egli ci perdona per il nostro contributo di negligenza che aiuta a mantene­re le cose in una situazione così deprecabile.salvezza+

 

La maggior parte delle persone non riusci­rebbe a trovar parole per esprimere il concet­to di perdono divino. Per poter comprendere la pace interiore che deriva da questo perdo­no, dobbiamo prima sapere perché il perdono è stato reso possibile. Il perdono di Dio è sta­to messo a nostra disposizione soltanto per un motivo: perché noi siamo stati comprati a un prezzo infinitamente prezioso: ciò che ha pa­gato il nostro riscatto è stato il sangue di Ge­sù!

 

- Il sangue è l’unico prezzo che può essere pagato per il peccato. (Ebrei 9,22)

 

- Gesù sapeva in precedenza ed aveva anche annunciato che il pagamento sarebbe avvenu­to con la Sua morte sulla croce. (Matteo 26,28)

 

- Il piano di redenzione del Padre, in armo­nia con la sottomissione del Figlio, si è rea­lizzato sul Calvario (Atti 2,23 – Matteo 26,39)

 

- Questa notizia è stata annunciata dai Pro­feti dell’Antico Testamento ed è stata confer­mata dalle prediche degli Apostoli nel Nuo­vo Testamento (Isaia 53,4,6 – Giov.1,29 – 1 Corinzi 15,3-1 Pietro 1,18.19).

 

- Sia la giustificazione (cioè l’assoluzione dei nostri peccati) nel tempo presente come anche le benedizioni eterne che riceveremo in futuro, ci sono donate attraverso il sangue di Gesù (Romani 5,9).

 

- Per tal motivo, attraverso il sangue di Ge­sù, possiamo avere una coscienza pulita e la pace con Dio (Efesini 2,13.14 – Ebrei 9,14)

 

Il perdono è abbondante ma non è parago­nabile all’abbondanza che possiamo trovare sul ripiano di un grande magazzino gremito di prodotti attraenti. Il perdono è paragonabi­le all’amore divino, troppo grande per essere compreso dalle nostre menti umane, esso spingerà il nostro spirito alla lode e al ringra­ziamento e ci darà il coraggio di presentarci davanti al trono di Dio, anche quando abbia­mo peccato.

 

3. Se vogliamo sbarazzarci della nostra bian­cheria sporca quando siamo nella sala del tro­no, non dovremo nasconderla in un angolo, ma bensì presentarla apertamente davanti a Dio. Ciò significa confessare i propri pecca­ti: avere il coraggio di guardare in faccia la verità. »Se confessiamo i nostri peccati; Egli è fedele e giusto da rimetterci i peccati e pu­rificarci da ogni iniquità (1 Giov. 1,9)

 

»Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, affinché otteniamo miseri­cordia e troviamo grazia per esser soccorsi al momento opportuno.« (Ebrei 4,16)- »Al mo­mento opportuno«. Veniamo incoraggiati ad andare al Signore proprio nel momento in cui ne abbiamo bisogno. Spesso però accade che quando ne abbiamo maggiormente bisogno, veniamo assaliti da un senso di colpa e di in­sufficienza che ci toglie il coraggio di presen­tarci dinanzi al trono di Dio. E’ proprio in questi momenti che Dio ci invita a rivolgerci a Lui. Sei incapace di pregare perché provi un senso di colpa che ti blocca? A partire da og­gi non lasciarti più influenzare dai tuoi senti­menti. Lascia invece che il sangue di Gesù ti liberi dall’oppressione, accetta la realtà del potere di redenzione di questo sangue e accet­ta la realtà della misericordia divina! Io pos­so presentarmi dinanzi al Padre e sarò purifi­cato dalla forza miracolosa del sangue di Ge­sù:

 

»Lavami del tutto della mia iniquità e netta­mi del mio peccato! … Cancella tutte le mie iniquità. O Dio crea in me un cuore puro e rin­nova dentro di me uno spirito ben saldo.« (Salmo 51)

 

Benvenuto, caro peccatore, nella sala del trono celeste!

 

J.Hayford

 

MEDITAZIONE

ABBIAMO BISOGNO DI UN RISVEGLIO DELLA PENTECOSTE

4 novembre 2013 Edificazione (Autori Vari)

folladi J. FLOYD WILLIAMS – I primi cristiani che fidavano interamente nella potenza dello Spirito Santo videro risultati meravigliosi e furono invincibili. L’idolatria fu frantumata; i templi pagani si svuotarono; moltiplicate centinaia e migliaia di persone si convertirono a Cristo. Nel breve lasso di pochi mesi l’onda della vittoria raggiunse Roma, tanto che finalmente nelle corti imperiali di Cesare vi erano di quelli che erano fedeli al Nazareno crocifisso.

 

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Basta un’occhiata per riconoscere la differenza fra i gloriosi successi della Chiesa Primitiva ed i nostri magri trionfi. La popolazione del mondo aumenta a grandi sbalzi, ciò nonostante in linea generale la Chiesa è stazionaria. Non vogliamo denigrare le ventine e le centinaia di persone che sono vinte a Cristo ogni giorno. Pure, quando pensiamo alle vaste masse che sono attorno a noi e che vivono e muoiono senza speranza, dobbiamo piangere perché così poche persone sono condotte a Cristo. Possediamo migliaia di ministri di culto validi e ben educati ed una grande armata di laici consacrati che operano per la salvezza del mondo. Possediamo solidi macchinari in azione nelle nostre chiese; ma se confrontiamo i rapidi passi della civilizzazione con il lento progresso del Vangelo, non possiamo non vedere che qualcosa di sbagliato deve pur esserci.

 

Non credo che ciò sia dovuto alla pigrizia della Chiesa, perché non vi è mai stata così tanta attività, e molta di questa attività è seria e sincera. Pure la Chiesa non riesce a

conquistare il mondo.

 

La domanda bruciante è: Che cosa si può fare?

 

Alcuni vorrebbero farci credere che vi è necessità di sermoni più intellettuali, perché oggi che l’istruzione è progredita, i ministri dovrebbero leggere i migliori libri disponibili e tenersi aggiornati sui movimenti letterari in modo da potersi esprimere fluentemente su ogni argomento.

 

Altri vorrebbero far rilevare la svolta che ha subito la cultura ai giorni nostri. Mentre altri ancora vorrebbero che adottassimo più musica classica e liturgia; al contrario di quelli che vorrebbero che si scegliessero solo cantici moderni e che si mettesse da un lato ogni forma di cerimoniale.

 

Che cos’é questo grande qualche cosa di cui sentiamo la mancanza? Sono perfettamente convinto che la Chiesa riacquisterebbe la sua bellezza e robustezza se tornasse a respirare la sua aria nativa, cioè il soffio dello Spirito Santo.

 

Abbiamo bisogno di un risveglio della Pentecoste!

 

La Chiesa è soprannaturale nelle sue origini e nel suo destino e può solo perpetuarsi nella potenza soprannaturale dello Spirito. Egli è qui, sulla terra per portare a compimento attraverso i credenti il programma tracciato da Cristo. Se ci fermiamo un momento per analizzare le cose, ci rendiamo conto che nel regno di Dio sulla terra niente può dirsi veramente fatto, se Egli non lo ha adempiuto.

 

Solo se torneremo alla meravigliosa potenza e opera dello Spirito Santo, solo se permetteremo che i nostri programmi, schemi, e piani finanziari siano diretti da Lui, potremo essere usati per la salvezza degli uomini. Le condizioni che prevalgono nei nostri giorni ci dicono che stiamo vivendo nell’età della Chiesa di Laodicea. Vi sono molteplici evidenze di debolezze e decadenze morali. Appare chiaro che ci troviamo lungo un corso irreversibile di autodistruzione.

 

Mentre queste condizioni prevalgono, molte chiese vivono nel lusso, ignorando i bisogni del genere umano. La Chiesa si arricchisce di beni, proprietà, edifici scolastici. Non ci riporta tutto questo l’eco delle parole rivolte alla Chiesa di Laodicea: «Ricco e arricchito»? E’ possibile che la Chiesa si preoccupi di costruzioni e programmi vari, mentre il mondo silenziosamente scivola nell’eternità senza Dio?

 

 

Nella nostra nazione la moralità è sempre più bassa; i films e i teatri sono sempre più pornografici. Un produttore cinematografico si vantava di aver prodotto un film in quattro giorni ad un dato costo e di avere incassato con quel film cinquanta volte la spesa. Il produttore affermava che il nudismo soltanto non è più una carta vincente; il pubblico ha sete di qualche cosa di più. Non c’è meraviglia dunque che stiamo mietendo tanta perversità. La musica moderna diventa sempre più suggestiva. Non soltanto è assordante, ma piena di volgarità.

 

La nostra è una generazione inquieta senza radici. In media l’americano cambia casa 14 volte nella sua vita; l’inglese 8 volte; il giapponese 5 volte. Questa società mobile crea un vero problema per la Chiesa. Come possiamo raggiungere questa generazione inquieta? E’ possibile farlo?

 

La Chiesa non ci chiama semplice mente ad una comunione e ad una libertà in Cristo ; ma ci sfida ad un ministero volontario : quello di essere partecipi della proclamazione del messaggio della Salvezza in maniera così efficace, che gli uomini debbano per forza considerarlo.

 

Non credo che vi sia stata altra generazione tanto affamata di Dio quanto la nostra. Vi sono moltissime evidenze che gli uomini stanno cercando qualche cosa. Vi è in loro un anelito, una brama, mentre brancolano nell’oscurità. Illuminiamo la loro via con la luce del Vangelo.

 

Che cosa stanno cercando le persone della nostra generazione? Io credo che vi sia in loro la ricerca sincera di una risposta a molti interrogativi. Possiamo sentire il grido che si eleva in ogni dove: «Desideriamo una nuova società. Desideriamo un uomo migliore, maturo, libero di mantenere la propria identità, che ha scoperto sè stesso e non si vergogna di mantenere la propria identità».

 

L’inquietante desiderio di ogni persona, sia che faccia parte della nuova società, delle nuove terre, o del movimento di liberazione, può essere soddisfatto da Cristo Gesù. Il Signore non distrugge la vita, ma la salva. Gesù ha detto : « Io sono venuto affinché abbiano la vita, e l’abbiano in esuberanza » (Giov. 10:10).

 

Si riferisce questo messaggio alle lotte dei nostri giorni? La Chiesa Cristiana primitiva era principalmente un movimento della libertà della non violenza. Iniziò col cambiare i cuori e le vite degli individui. Vi è un’urgenza, una serietà in riguardo a questa grazia di cui dobbiamo predicare. Non vi è la benché minima indicazione che gli apostoli usassero il tono del prendere o lasciare, mentre proclamavano la verità. Abbiamo a che fare con la schiavitù del peccato o con la libertà in Cristo ; cielo o inferno; salvezza o perdizione per l’eternità. Questo messaggio domanda una partecipazione, un arrendimento continuo, una dedizione assoluta.

 

Non soltanto abbiamo il mandato di proclamare il messaggio, ma dobbiamo essere anche mossi dallo Spirito di Dio per dimostrarlo. Essere testimoni di Gesù Cristo è la nostra chiamata. Dobbiamo testimoniare per lo Spirito e agire per lo Spirito. Non siamo stati posti dove ci troviamo per servire ai nostri interessi egoistici. Non facciamo semplicemente parte di un gruppo spirituale selezionato e messo da una parte. Abbiamo noi stessi una parte vitale da assolvere in mezzo a questa società contemporanea. Dobbiamo annunciare al mondo la liberazione del nostro Signore Gesù Cristo.

 

Vi sono coloro che suggerirebbero di abbandonare i culti di adorazione nelle chiese stabilite. Essi affermano che le Congregazioni sono venute meno nel riconoscere le realtà dei nostri giorni. Un po’ di questo criticismo è giustificato. Abbiamo permesso alla tradizione di trasformare i nostri culti in un qualche cosa che è poco più di un ritualismo. Sappiamo già, prima ancora di lasciare le nostre abitazioni, quel che avverrà ai culti: quanti canti canteremo, quando ci sarà la preghiera, quando sarà raccolta l’offerta, quando ci sarà la predicazione e la benedizione finale. Dove sono i segni ed i prodigi che erano la caratteristica della Chiesa Primitiva?

 

Che cosa faremo? Condanneremo la Chiesa? Oppure rinnoveremo il nostro patto con Dio e rinfrescheremo noi stessi con un nuovo riempimento del Suo Spirito? Abbiamo bisogno di spogliare il nostro messaggio da tutto ciò che è superfluo e ridurci ad un’autentica proclamazione che produce una comunione genuina e ci dà modo di avere un dialogo cristiano con gli uomini e con le donne.

 

La mancanza di amore è il peccato maggiore ai nostri giorni. E’ necessario uno scuotimento in tutta la Chiesa che ci porti a mettere da un lato i nostri programmi mal guidati e le nostre strutture antiquate ed a trovare una direttiva nuova nel nostro Signore e Cristo.

 

Parliamo di mancanza di comunicazione e d’incomprensione fra generazioni, ma la tragica differenza tra quei che Dio desidererebbe che noi fossimo e quel che realmente siamo dovrebbe scuoterci ad un nuovo risveglio !

 

Il mondo oggi desidera vedere i fatti. E’ stanco di mere parole di politici, filosofi, di farisaici ecclesiastici che ostentano le loro pie convinzioni. Le parole possono descrivere il mondo, ma sono necessarie le decisioni drastiche per cambiarlo. Il cristianesimo è più di un credo. E’ un rapporto personale con Dio che abbraccia tutto l’uomo. Le nostre fraseologie evangeliche fanno spesso alzare i tacchi alle persone. Hanno ascoltato le nostre espressioni così a lungo che non desiderano ascoltarle più.

 

Le persone sono alla ricerca di qualcosa di assoluto, di universale. Dio è personalmente interessato a noi. Noi non siamo le schede di un computer. Egli ci conosce intimamente e può soddisfare col Suo amore l’anelito disperato dei nostri cuori. Quando accettai Cristo quale mio Salvatore, quale Signore della mia vita, scomparve la colpevolezza morale ed un nuovo rapporto da persona a persona con un Dio personale fu stabilito.

 

Dobbiamo comunicare verticalmente con Dio, e quindi orizzontalmente con gli altri uomini. Sulla base del rapporto da persona a persona dobbiamo condividere la testimonianza di Cristo e le verità della Bibbia con i nostri simili. Questo è quanto praticava la Chiesa Primitiva. Finanche i suoi nemici guardavano ai cristiani ed esclamavano: «Guardate come si amano l’un l’altro»!

 

Le persone non sono solo interessate nella verità che possediamo e che ci porterà nel cielo, ma esse desiderano vedere il senso che questa verità dà alle nostre vite al presente. E’ inutile parlare d’amore, a meno che non vi sia un rapporto di questo amore tra la vita e l’eternità.

 

Dopo aver considerato i complessi problemi del nostro tempo, senza punto minimizzare le crisi che travagliano la Chiesa, è la mia opinione sincera che non esista problema che non possa essere risolto da un risveglio della Pentecoste. Oh, che lo Spirito di Dio scenda su noi e parli attraverso di noi il pensiero che è alito di vita e la parola che brucia. Il nostro pericolo è di confidare negli uomini, e nei loro metodi per essere vitalizzati. Dobbiamo confidare unicamente in Lui che è il solo che possa farci risorgere, potenziarci, suggerirci i metodi, vitalizzarci e renderci di benedizione.

 

Sono convinto che dovremmo usare ogni metodo possibile per raggiungere la nostra generazione. Gli uomini inquieti del nostro tempo desiderano una realtà. Invece di mostrare loro delle tradizioni ipocrite, preghiamo affinché Dio ci dia il fuoco della Pentecoste, affinché essi vedano una realtà in noi e siano attratti a quel Cristo che proclamiamo di amare e di servire.

 

 

MEDITAZIONE

UN RIMEDIO EFFICACE PER I MALI NAZIONALI, PER TUTTE LE PERSONE, IN TUTTI I PAESI.

16 novembre 2013 Edificazione (Autori Vari)

Abraham-LincolnProclama del Presidente Abramo Lincoln per una giornata di umiliazione nazionale, digiuno e preghiera – 1863

Da Sua Eccellenza, Abraham Lincoln, presidente degli Stati Uniti.

 

Considerando che, il Senato degli Stati Uniti, devotamente riconoscendo la Suprema l’autorità e il governo dell’Iddio Onnipotente in tutti gli eventi degli uomini e delle nazioni, con una risoluzione ha chiesto al Presidente di stabilire e dedicare una giornata di preghiera e umiliazione nazionale. Considerando che è dovere di ogni nazione, così come di ogni uomo, sottomettersi all’indiscutibile potere di Dio e confessare i propri peccati e trasgressioni, in umile cordoglio, ma con la speranza certa che un sincero pentimento porterà misericordia e perdono, per riconoscere la sublime verità annunciata nelle Sacre Scritture e dimostrata nel corso di tutta la storia, che solo quelle nazioni il cui Dio è il Signore sono benedette.

E poiché sappiamo che, per la Sua legge Divina, le nazioni, come gli individui, sono sottoposti a punizioni e castighi in questo mondo, non potremmo giustamente temere che la terribile calamità della guerra civile, che ora devasta la nostra terra, potrebbe essere una punizione inflittaci a causa dei nostri peccati volontari, per il necessario fine di una riforma nazionale come intero popolo?

Siamo stati beneficiari di grandi doni del Cielo. Siamo stati preservati in tutti questi anni in pace e prosperità. Siamo cresciuti in numero, in ricchezza e potere come nessun altra nazione mai prima.

Ma abbiamo dimenticato Dio!

Abbiamo dimenticato la generosa mano che ci ha conservato in pace, e fatto moltiplicare, che ci ha arricchito e ci ha rafforzato, e hanno vanamente immaginato, nell’inganno del nostro cuore, che tutte queste benedizioni sono stati il frutto di una nostra superiore saggezza e virtù. Inebriati dal nostro stabile successo, siamo diventati troppo autosufficienti per poter sentire la necessità della grazia redentrice e preservante, troppo orgogliosi per pregare l’Iddio che ci ha creati!

Conviene quindi umiliarci davanti al Potere offeso, e confessare i nostri peccati come nazione e pregare per clemenza e perdono.

Quindi, ora, in conformità con la richiesta, e pienamente concordante con quanto espresso dal Senato, faccio questo decreto, designando e stabilendo Giovedì 30 Aprile 1863, come giorno di umiliazione nazionale, digiuno e preghiera. E con la presente richiedo a tutte le persone di astenersi in quel giorno dalle loro ordinarie occupazioni secolari, e di radunarsi nei loro diversi luoghi di culto e nelle loro rispettive case, per mantenere questo giorno sacro al Signore, e dedicare gli umili adempimenti dei doveri religiosi a questa solenne occasione.

Tutto questo fatto con sincerità e in verità, ci farà riposare umilmente nella speranza, autorizzata dagli insegnamenti Divini, che il grido unito della Nazione sarà ascoltato in alto, e la risposta verrà in benedizioni, e anche il perdono dei peccati della nostra nazione, e il ristabilimento del nostro paese, ora così diviso e sofferente, alla sua passata felice condizione di unità e di pace.

In fede, ho apposto la mia firma, e il Sigillo degli Stati Uniti per essere eseguito.

 

Washington lì 30 Marzo 1863.

MEDITAZIONE

DOVE SONO I VERI PROFETI?

5 dicembre 2013 Edificazione (Autori Vari)

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di A. W. TOZER - Il dono del discernimento profetico è una necessità assoluta del nostro tempo. Un profeta è una persona che conosce l’epoca in cui vive e ciò che Dio sta cercando di dire ai suoi contemporanei. Ciò che Dio ha da dire alla sua Chiesa, in qualsiasi epoca, dipende dalla condizione morale e spirituale in cui la Chiesa versa nonché dalle necessità spirituali del momento. I capi religiosi che continuano a esporre le Scritture meccanica- mente senza considerare la situazione religiosa attuale non sono migliori di quegli scribi e dottori della legge dei tempi di Gesù che recitavano scrupolosamente i precetti della Legge ignorando completamente ciò che accadeva intorno a loro nel campo spirituale. Essi somministravano la stessa dieta a tutti, apparentemente senza rendersi conto che esiste il «cibo a suo tempo». I profeti non hanno mai fatto errori di questo genere né sprecato le loro energie in quel modo. Essi hanno sempre parlato delle condizioni nelle quali si trovavano i loro contemporanei.

 

Oggi noi abbiamo bisogno di predicatori profetici; non soltanto predicatori che espongono le profezie, ma predicatori che hanno il dono della profezia. Manca la parola di sapienza. C’è bisogno del donodel discernimento sui nostri pulpiti. Non necessitiamo l’abilità di predire, ma quella potenza di interpretazione e penetrazione spirituale affinché siamo in grado di valutare il scenario religioso dal punto di vista divino e di capire ciò che in realtà sta accadendo.

 

Per rinvigorire il Cristianesimo sono necessari altri mezzi di quelli utilizzati finora. Se la Chiesa nella seconda metà di questo secolo deve riprendersi dalle ferite subite nella prima metà del secolo, occorre che appaia un nuovo tipo di predicatore. Non abbiamo certamente bisogno del tipo rappresentato dal capo della sinagoga corretto, né di quello del sacerdote che svolge i suoi doveri, riceve la sua paga e non fa domande, né di quello del pastore eloquente capace a rendere il Cristianesimo accettabile a tutti. Essi sono stati messi alla prova e sono stati trovati mancanti.

 

Occorre che sorga, in mezzo a noi, un altro tipo di capo religioso. Egli deve avere le caratteristiche del vecchio tipo di profeta, un uomo che ha visto la visione di Dio e ha sentito la voce che procede dal Trono. Quando egli apparirà (e prego Iddio che sarà più di uno), si opporrà a tutto ciò che la nostra civilizzazione affettata e adulatrice tanto ama. Le sue denunce e proteste nel nome di Dio gli porteranno l’odio e la resistenza di una gran parte dei cristiani. Un uomo di quel stampo sarà probabilmente caratterizzato da semplicità, vigore, schiettezza e sarà un po’ in collera con il mondo. Amerà Cristo e le anime al punto di essere pronto di morire per la gloria dell’Uno e per la salvezza degli altri. Ma nessun essere vivente gl’incuterà timore.

 

La Chiesa deve ricuperare i doni dello Spirito, e sono convinto che il dono più importante di cui abbiamo bisogno oggi, è quello della profezia.

 

LA VERITÀ’ DOVREBBE ESSERE ADATTATA ALLE CIRCOSTANZE

 

La verità non deve essere proclamata senza distinzione, ma adattata alle circostanze, alle esigenze degli ascoltatori e ai tempi in cui essi vivono.

 

Questo noi impariamo dai profeti e dagli apostoli, come dal Signore stesso. Essi non si sono mai attenuti ad un programma religioso inflessibile che dettava l’insegnamento di certe dottrine in certi periodi senza considerare le necessità del momento. Al contrario, essi prescrivevano la verità come una medicina divina che veniva proclamata con vigore quando il popolo ne aveva bisogno.

 

Essi predicavano speranza quando il popolo era giù di morale, obbedienza quando diventavano negligenti, purezza quando l’immoralità prendeva il sopravvento, umiltà quando erano troppo orgogliosi, e pentimento quando cadevano nel peccato.

 

Tutto ciò era conforme all’intera verità rivelata, ma l’abilità di questi uomini di Dio consisteva nel fatto che sapevano adattare il messaggio alle circostanze. Se non fosse stato così, una gran parte della verità sarebbe andata persa e sia le preghiere, sia il duro lavoro sarebbero rimasti senza frutti.

 

La situazione religiosa d’oggi esige quanto mai un «dottore» capace di diagnosticare i nostri mali morali e di prescrivere con saggezza il rimedio necessario. Non è sufficiente ripetere semplicemente certi stereotipi dottrinali. Abbiamo urgentemente bisogno oggi del, discernimento penetrante dello Spirito Santo. Noi non dobbiamo soltanto sapere ciò che Dio ha detto; bisogna che udiamo ciò che Dio sta dicendo adesso.

 

E’ evidente che coloro che non hanno discernimento — benché siano sinceri — vanno incontro all’errore. Le loro conclusioni sono inevitabilmente erronee in quanto i loro ragionamenti sono meccanici e privi di ispirazione. Sono dei miserevoli consiglieri e dei dottori incapaci.

 

Spesso gli effetti del risveglio vengono scambiati per le cause del risveglio. Questa conclusione sbagliata va a scapito di tutti e blocca effettivamente quel rinnovamento spirituale per il quale tanti pregano.

 

L’esigenza più grande in quest’epoca della storia della chiesa non è costituita dall’evangelizzazione, dal lavoro missionario o dai miracoli. Questi sono effetti, non cause. Ciò che è assoluta- mente necessario ora è che noi che ci chiamiamo cristiani riconosciamo sinceramente, anche davanti a Dio, che ci stiamo perdendo; che ammettiamo che siamo mondani, che abbiamo lasciato decadere la morale e che siamo spiritual- mente freddi.

 

Dobbiamo smettere di svolgere quella moltitudine di attività non propriamente scritturali, di correre a destra e sinistra senza una missione divina e di ammantare i nostri progetti carnali di frasi come «Nel nome del Signore» e «Per la gloria di Dio». Noi dobbiamo ritornare al messaggio, ai metodi e agli obiettivi del Nuovo Testamento.

 

IL DIVINO ABITO PER IL SERVIZIO

 

Cristo disse ai suoi discepoli di rimanere in Gerusalemme finché non fossero stati rivestiti di potenza dall’alto. Ciò può solo significare che Egli non affiderà mai la sua opera a coloro che sono pronti e qualificati. E’ infinitamente più importante che noi ci prepariamo per il servizio piuttosto che condurre una persona a vivere in una condizione spirituale sottosviluppata come la nostra.

 

Quei credenti che non hanno veramente ubbidito alla Parola di Cristo, non possono che produrre altri credenti dello stesso livello spirituale. Missioni affidate a persone spiritualmente non rivestite di potenza dall’alto non fanno altro che trapiantare un Cristianesimo fiacco in un paese straniero. Possiamo essere certi che la chiesa fondata in un altro paese non sarà migliore della vita spirituale di coloro che l’hanno fondata.

 

Un vero pentimento risulterà in cuori purificati e in vite santificate. Se ritorniamo senza mezzi termini e con risolutezza a ciò che Dio ci rivelò sul monte Egli se ne compiacerà. Allora scopriremo che più — non meno — anime verranno a Cristo. Allora tutto quello che intraprenderemo prospererà, e Dio sarà glorificato in tutto sia in patria che all’estero.

 

MEDITAZIONE

SENTIMENTI

6 dicembre 2013 Edificazione (Autori Vari)

di F. B. MEYER - I nostri sentimenti possono causare delle delusioni, perché spesso nascono dal nulla. Possiamo essere influenzati dallo stato di salute, dai cambiamenti di tempo, dalla presenza o dalla assenza di persone che amiamo. Se il tempo è bello, se il sole splende, se abbiamo dormito bene, siamo più disposti a pensare a Dio. Il Padre che ci ha creati conosce la nostra struttura e comprende questo. Quando Elia fuggì da Jezebel, si fermò sotto un ginepro e desiderò di morire. Ma Iddio gli diede riposo e cibo.

 

Di regola la fede porta frutto nel sentimento. “ Giustificati per fede, abbiamo pace con Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore „. “ Nel quale credendo, voi gioite di una allegrezza ineffabile e gloriosa (Romani 5:1; 1 Pietro 1:8). Quando il figliuol prodigo tornò, il padre ordinò che si ammazzasse il vitello ingrassato, dicendo: “Mangiamo e rallegriamoci”. Il peso del peccato è tolto ed ecco la gioia del perdono, il sorriso nel volto del padre, il senso di giustizia, la calma visione del futuro.

 

L’ opera dello Spirito nell’ animo produce un sentimento felice e benedetto. Il frutto dello Spirito è amore, allegrezza, pace…” . E’ il frutto della nostra eredità e, benché nella nostra insufficienza non possiamo aspettarci di entrare ancora nella pienezza della nostra eredità, abbiamo però il privilegio di goderne i primi frutti.

 

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La mancanza di sentimento, però, non sempre indica che sbagliamo. Come abbiamo visto, il nostro abbattimento può avere delle cause che hanno ragione di essere. Può darsi che Cristo ci voglia insegnare a distinguere fra l’amore e l’emozione che l’amore produce, fra la gioia e l’estasi che la gioia dà, fra la pace e il senso di pace. Forse Egli vuole accertarsi se ci attacchiamo proprio a Lui, o a Lui per i suoi doni. Il nostro Padre celeste, qualche volta ci priva di gioie e permette che soffriamo la fame per conoscere quello che c’ è nel nostro cuore e se amiamo proprio Lui per se stesso. Se ci attacchiamo a Lui come fece Giobbe, Egli ne è contento e ridona il conforto a piene mani a coloro che sono nel dolore.

 

Se cercate il sentimento e non lo trovate siate contenti di farne a meno e avrete allora tutto quello di cui avete bisogno. Se state sempre a contare i battiti del cuore, finirete per avere mal di cuore. Se pensate continuamente alla vostra salute finirete per ammalarvi. Se volete consultare sempre i vostri sentimenti, andrete a vivere in una terra arida e asciutta dove non c’è acqua. Chi vuol salvare l’anima sua la perderà.

 

Siate indifferenti all’emozione. Se c’ è, tanto meglio; se non c’ è, andate avanti facendo la volontà di Dio, fate contando su di Lui, parlando bene di Lui, e soprattutto non siate d’intoppo agli altri parlando delle vostre pene. Allora la gioia verrà su di voi come un diluvio; Egli vi farà sedere alla Sua tavola; Egli si cingerà e vi servirà.

MEDITAZIONE

GIUSTO IN TEMPO!

17 dicembre 2013 Edificazione (Autori Vari)

di OSWALD J. SMITH - Al principio del mio ministerio, ebbi una esperienza che mi fece rendere conto, in una maniera come non mi era mai accaduto prima, della serietà della mia chiamata. Accadde all’improvviso e posso ancora ricordare la chiamata telefonica che mi fece alzare dalla mia indifferenza e correre al capezzale di uno dei miei parrocchiani.

 

- Potreste venire a vedere una donna inferma?

– E’’ urgente?

- Si, molto ; può darsi che non viva fino a domattina.

– Va bene, verrò subito. E riappesi il ricevitore.

 

Attraverso le strade della città, raggiunsi in breve il luogo e fui introdotto nella camera dell’ammalata. Una donna con una espressione di profondo sconforto dipinta sul volto mi guardò mentre entravo. Cercò di parlarmi, ma la sua voce era così debole e rotta che dovetti chinarmi su di lei per poter afferrare il senso delle sue parole. Avvertii subito di trovarmi alia presenza dell’Angelo della Morte, perché era chiaramente visibile che la vita di quella donna stava declinando rapidamente.

 

Il suo volto esprimeva tutta la disperazione. Mi resi conto che non vi era tempo da perdere, non vi era tempo per parlare delle cose di questo mondo: era in giuoco il destino eterno di quella donna.

 

- Signora Charles, siete pronta ad andare; avete qualche speranza ? Le chiesi.

 

- No, nessuna speranza, rispose scuotendo la testa, mentre un profondo sospiro le usciva dulie labbra.

 

Le spiegai più chiaramente che mi fu possibile il meraviglioso piano della salvezza: inginocchiatomi al suo fianco, pregai con lei. In ultimo intonai sommessamente l’inno:

 

Cosi qual sono, pien di peccato

Vengo a quel sangue da Te versato;

A Te m’accosto e Tu, Signore.

Lava il mio cuore; pietà di me!

 

Così qual sono, disavveduto

E senza forze, quasi perduto

Vengo pentito a Te, Signore,

Lava il mio cuore; pietà di me!

 

Avevo appena incominciato a cantare che udii la sua voce debole, rotta e tremante unirsi alla mia. A tratti potevo distinguere le parole che pronunciava ; ma il più delle volte erano inintelligibili, fino a che non arrivammo alla penultima riga del secondo verso. Allora ella cantò con tutto il suo cuore e la sua voce :

 

«Vengo pentita a Te, Signore!»

 

Ed in verità ella andò, andò in piena certezza di fede. Quando la lasciai ero certo che tutto era a posto e che presto quella sorella sarebbe andata a casa, con il Signore.

 

E pensare che ella era un membro della chiesa, un membro… ma inconvertito. La conversione era il suo bisogno più urgente, perché la Parola di Dio chiaramente ed, enfaticamente afferma che «Se non mutate non entrerete nel regno dei Cieli» (Matteo 18:3).

 

Mentre percorrevo la strada del ritorno, il mio cuore, ripieno di tristezza, meditava sulla tremenda responsabilità che grava sui ministri di culto che permettono alle persone di divenire membri delle loro chiese senza preoccuparsi che esse siano « nate di nuovo ».

 

Non vidi più la Signora Charles in vita. La vidi per l’ultima volta in una bara con il volto freddo di morte. Mentre predicavo al suo funerale, feci in me stesso la determinazione di mettere da una parte ogni ultra cosa e consacrarmi. senza riserve all’unico grande lavoro di cercare di preparare le anime per il Cielo.

 

Caro amico, sei pronto? Che cosa sarebbe di te se tu morissi all’improvviso ? Sei forse impreparato? Può darsi che anche tu sia membro di una chiesa; membro… ma inconvertito.

 

Lascia che io ti faccia premura di rendere certa la tua chiamata ed elezione, permettimi di esortarli calorosamente di accettare Gesù Cristo quale tuo Personale Salvatore. Lo vuoi fare? Sì, fallo e fallo ora!

 

 

MEDITAZIONE

OBBEDIRE A DIO

18 dicembre 2013 Edificazione (Autori Vari)

di A.W.Tozer. - Nel Nuovo Testamento, obbedire significa ascoltare la parola di Dio, piegarsi alla sua autorità e condurre a termine gli incarichi che Dio ci affida. Questo tipo di obbedienza sembra scomparso al tempo d’oggi. Ogni tanto ci accade di sentire una predica, un po’ stiracchiata, su questo soggetto. Il messaggio però è tanto scialbo che non può certamente influenzare la vita di coloro che lo ascoltano.

 

L’obbedienza si è rammollita nel Cristianesimo moderno. Essa viene volentieri lasciata fuori del tutto e, coloro che ne fanno accenno, lo fanno quasi con un tono di scusa e senza sottolinearne l’importanza. Come è accaduto ciò? Sicuramente questo è dovuto al fatto che, sia i predicatori che i fedeli confondono tozer2l’obbedienza con la diligenza. Volendo evitare di cadere nell’errore di ottenere la salvezza attraverso le opere, siamo caduti in un altro errore, quello della salvezza ottenuta senza l’obbedienza. Nel nostro zelo abbiamo gettato via il neonato assieme all’acqua del bagno e siamo giunti ad eliminare quasi completamente l’obbedienza.

 

La Bibbia ci dice però chiaramente che è impossibile ottenere la salvezza senza l’obbedienza. Paulo afferma di aver ricevuto l’incarico di predicare l’obbedienza della fede a tutte le nazioni: »…noi abbiamo ricevuto grazia e apostolato per trarre all’ubbidienza della fede tutti i Gentili…« (Romani 1,5). Egli ricorda ai Cristiani di Roma: »Ringraziamo Dio perché non siete più schiavi del peccato ma avete di cuore ubbidito a quel tenore d’insegnamento che vi è stato trasmesso« (Romani 6,17).

 

Nel Nuovo Testamento non c’è nessuna differenza tra fede e obbedienza. Ci sono però delle diversità molto chiare tra la fede e le opere della legge come pure tra la legge e la grazia. La fede e l’obbedienza vanno invece di pari passo. Le Sacre Scritture non riconoscono nessun tipo di fede che non guidi verso l’obbedienza e nessun tipo di obbedienza che non derivi dalla fede. Fede e obbedienza sono le due facce della stessa moneta. Se venissero separate, la moneta non avrebbe più alcun valore.

 

La fede e l’obbedienza sono quindi legate l’una all’altra. Purtroppo molti pensano di aver fede senza essere minimamente disposti ad obbedire a Dio.

 

Il messaggio della croce contiene due elementi fondamentali:

1) Promesse e rivelazioni che devono essere credute;

2) Comandamenti che devono essere seguiti.

 

E’ quindi necessario innanzitutto aver fede e poi obbedire. Le promesse e le rivelazioni possono essere solo credute. Non possiamo seguirle perché esse si appellano alla nostra conoscenza e non alla nostra volontà.

 

Allo stesso modo non è possibile credere ad un comandamento. Esso fa appello alla nostra volontà e non alla nostra conoscenza. Possiamo credere che il comandamento è giusto, possiamo confidare nel fatto che esso è buono, ma questo non è sufficiente. L’unico modo di prender posizione verso un comandamento è quello di seguirlo oppure rinnegarlo. Se ci limitiamo ad aver fede senza obbedire nel momento in cui siamo chiamati a farlo, ci troveremo ben presto in un labirinto del quale non riusciremo a scorgere l’uscita.

 

Il messaggio del Cristo crocifisso e il tesoro di rivelazioni bibliche che si basano su questo messaggio hanno il loro fondamento nella fede e nell’obbedienza. E’ per questo motivo che l’apostolo Paolo ha parlato di »ubbidienza della fede« senza incorrere in contraddizioni. »Io non mi vergogno dell’Evangelo poiché esso è potenza di Dio per la salvezza di ogni credente. (Romani 1:16); e ancora »…divenne, per tutti quelli che gli obbediscono, autore di una salvezza eterna« (Ebrei 5:9). Coloro che credono e coloro che obbediscono sono quindi posti sullo stesso piano.

 

Conseguenze della disobbedienza.

 

Il messaggio del nostri giorni è debole perché parla di fede e trascura l’importanza dell’obbedienza. La cosa ha preso proporzioni tali che milioni di Cristiani sono convinti che è sufficiente aver fede per considerarsi obbedienti.

 

Il risultato è un Cristianesimo che ha la sua sede nella mente e che confonde la fede con la fantasia. Le convinzioni a cui esso conduce non hanno nessun fondamento. La fede viene degradata e messa al livello di una verità qualunque. E tutto questo viene presentato in modo pomposamente ortodosso!

 

Ci sono uomini che hanno già vissuto tanto a lungo con questo tipo di fede, che è quasi impossibile scuoterli ed aiutarli ad uscirne con validi argomenti. Essi sono sprofondati in una quantità incredibile di teorie religiose, credono a tutto quello che sentono e non seguono nulla.

 

Sono profondamente scossi quando sentono la parola »obbedienza«, convinti di trovarsi di fronte ad una forma di errore o di egotismo che può venir propagata soltanto in una cerchia dove la Parola di Verità viene presentata in maniera falsa. Per loro il Cristianesimo è fatto di dottrine e di opinioni. Tutto il resto è un tentativo di raggiungere la grazia attraverso le opere.

 

Posiamo considerare questo come un fenomeno dei nostri tempi ma purtroppo questo tipo di fede non è affatto raro. E’ chiaro che la comunità di Gesù ha sofferto a causa della mancata comprensione di ciò che veramente è la fede e della mancanza di obbedienza. Questa tragica situazione ha purtroppo impedito il corso di un grande risveglio spirituale nel nostro secolo. L’unico modo per curare questa malattia è quello di eliminarne la causa. Dobbiamo dunque metterci all’opera con molto coraggio.

 

Promesse per coloro che obbediscono.

 

Il Nuovo Testamento descrive i frutti dell’obbedienza: la casa dell’uomo obbediente sarà edificata sopra una roccia (Matteo 7,24). Egli sarà amato dal Padre e dal Figlio, che si manifesterà a lui (Giovanni 14,21). Egli dimorerà nell’amore di Cristo (Giovanni 15,10).

 

Coloro che obbediscono sono liberati dal peccato e divengono servi della giustizia (Romani 6,18). Essi riceveranno lo Spirito Santo (Atti 5,32). Essi saranno liberati da false illusioni e benedetti nelle loro opere. (Giacomo 2,22). Essi saranno sicuri del loro rapporto con Dio e le loro preghiere saranno esaudite (1 Giovanni 3,18-22).

 

Queste citazioni dal Nuovo Testamento rispecchiano per sommi capi quello che è indicato chiaramente in tutto il Nuovo Testamento. Un versetto, considerato al di fuori dal testo, può diventare oggetto di discussione ma gli argomenti trattati nelle Sacre Scritture non lasciano dubbio.

 

Quali sono le conseguenze? Cosa significano queste cose oggi, per me? Esse significano che la potenza di Dio è a mia disposizione per permettermi di portare a termine il compito che mi è affidato. Dio è pronto a riversare su di me grandi benedizioni non appena mi metterò a seguire le sue istruzioni con decisione e serietà.

 

Non abbiamo bisogno di nuovi maestri, di nuovi movimenti, di nuove »chiavi« per scoprire la verità, di nuovi evangelisti venuti dall’estero, di corsi d’istruzione costosi. La strada è tracciata davanti a noi ed è visibile come un’autostrada a quattro corsie.

 

Incomincia oggi ad essere obbediente.

 

Incomincia ad obbedire oggi stesso. Fai semplicemente quello che sai di dover fare per portare a termine ciò che il Signore si aspetta da te. Se ci sono peccati nella tua vita, non peccare più. Non dire bugie, non parlare male degli altri, non essere disonesto, allontanati da quelle cose che non sono buone. Evita tutto quello che non fa onore a Dio.

 

Cerca di far la pace con tutti quelli che hai offeso. Perdona a coloro che ti hanno offeso. Aiuta quelli che si trovano in difficoltà e appoggia quelli che propagano l’Evangelo. Sacrifica il tuo tempo e la tua comodità per venire in aiuto agli altri. Prega. Prendi parte ai culti. Non temere di testimoniare per Cristo quando se ne presenta l’occasione e non solo quando questo è facile e comodo.

 

Non tirarti indietro di fronte alle difficoltà e non temere le conseguenze. Leggi la Parola di Dio, essa ti aiuterà a conoscere la volontà di Dio nella tua vita, metti in atto questa volontà nel modo in cui ti viene rivelata. Incomincia a farlo oggi. Segui la Parola di Dio a lascia che essa guidi la tua vita. Metti in pratica nella tua vita quotidiana quello che leggi nella Parola.

 

 

MEDITAZIONE

PERCHE’ PREDICHIAMO IL BATTESIMO NELLO SPIRITO SANTO

2 novembre 2012 Articoli di Roberto Bracco

“Ragione storica“. - La cristianità della nostra generazione ha smarrito il significato del messaggio della Pentecoste. Le chiese non guardano più a questa data o a quest’avvenimento come ad una meta che, come è stata raggiunta ieri, deve essere raggiunta, nel succedersi dei secoli, da ogni nuova generazione.

 

La potenza dello Spirito Santo, l’effusione del dono divino, il battesimo celeste promesso da Gesù… sono diventate espressioni teoriche e quindi realtà indefinite e sbiadite. In tale tragica situazione la chiesa pentecostale ha raccolto l’invito di Dio di predicare e proclamare una verità dimenticata.

 

Attraverso i secoli, Iddio ha sempre suscitato chiese o movimenti, individui o comunità, ai quali affidare il messaggio di qualche verità dimenticata o trascurata; in questo secolo Egli ha suscitato il popolo pentecostale per predicare la dottrina della salvezza e per sottolineare l’importanza del battesimo dello Spirito Santo.

 

Al principio di questo secolo una voce è risuonata nel deserto per ricordare che Cristo ha ordinato di attendere, prima del lavoro cristiano, la potenza o il battesimo dello Spirito Santo, e questa voce è partita dal seno di un popolo che è stato chiamato pentecostale. Non meravigliamoci quindi della nascita di questo movimento, o della particolarità del suo messaggio, che testimoniano semplicemente di una necessità storica conforme alla volontà di Dio.

 

“Ragione ministeriale“. — Il movimento cristiano, che ha ricevuto dall’esterno la denominazione, che lo ha associato alla Pentecoste, predica il battesimo dello Spirito Santo nella convinzione profonda che esso rappresenta condizione essenziale all’espletamento del ministerio cristiano. La potenza carismatica dello Spirito Santo può essere vista come il principio vitale del ministerio, che deve essere appunto la manifestazione soprannaturale della chiesa cristiana.

 

I discepoli di Cristo avevano, anche prima della Sua morte, e durante il periodo che va dalla resurrezione all’ascensione, compiute reali esperienze spirituali; avevano confessato il Cristo, Lo avevano riconosciuto e proclamato Figliuolo di Dio, avevano ricevuto il soffio delle Sue labbra e l’autorità del Suo Regno, ma non furono autorizzati da Gesù ad iniziare la loro completa attività sul fondamento di tali esperienze. Il Maestro fu esplicito: “ Dimorate in Gerusalemme ed aspettate il compimento della Promessa… “. La Pentecoste fu, e quindi è, il fondamento del servizio; senza di essa il servizio è debole ed il messaggio inefficace.

 

Quando si parla di Pentecoste bisogna naturalmente riferirsi a ciò che essa esprime o, per essere più precisi, a ciò che essa è. La Pentecoste è il miracolo delle lingue, ma non soltanto il miracolo delle lingue, perché è potenza e miracolo nel senso più esteso e più profondo di questa parola. Gli Atti degli Apostoli ci parlano della Pentecoste non soltanto nel capitolo 2, ma dal capitolo 2 di questo libro meraviglioso, che è stato definito anche “Atti dello Spirito Santo“.

 

Il discorso potente di Pietro è la Pentecoste, la guarigione dello zoppo è la Pentecoste, la franchezza degli Apostoli, la comunione e l’amore dei discepoli, il discernimento di Pietro e la sua autorità di fronte ad Anania e Saffira, l’amministrazione della chiesa nascente, la testimonianza eroica, l’attività missionaria… tutto, tutto è la Pentecoste che è soprattutto potenza in cammino, potenza in azione.

 

Il servizio cristiano può anche essere compiuto sulla falsariga di un’arida preparazione scolastica e, quindi, mediante l’ausilio di una cultura scientifica, ma esso non sarà perfetto e non sarà efficace perché privo del solo autentico fondamento: “ la Pentecoste”.

 

La Potenza di Dio e la Sapienza di Dio sono suggellate nella Pentecoste e quindi un ministerio veramente pentecostale può anche ignorare o addirittura rifiutare le allettanti offerte della cultura umana; mentre la cultura umana, anche nella sua manifestazione più elevata e più nobile, non può e non potrà mai sostituire o semplicemente essere un surrogato della potenza dello Spirito Santo.

 

 

 

“Ragione Etica“. — Il battesimo dello Spirito Santo è potenziamento della personalità umana. Potenziamento in profondità e potenziamento in estensione. Colui che esperimenta il battesimo, cioè l’immersione nello Spirito, afferra le facoltà soprannaturali dello Spirito non soltanto per esercitare il ministerio, ma anche per vivere nel piano divino.

 

In questa generazione si è cercato di giustificare l’assenza dei carismi dello Spirito con lo specioso ragionamento che la chiesa è chiamata soprattutto a fecondare il frutto dello Spirito. La chiesa, è necessario precisare, non ha facoltà di scelta nella volontà di Dio perché è chiamata a compierla tutta: servizio e santificazione rappresentano limiti entro i quali bisogna muoversi e non traguardi che possono essere perseguiti separatamente per legge di preferenza.

 

Ma comunque è necessario sottolineare che anche l’etica cristiana impone la Pentecoste. Il frutto dello Spirito può nascere soltanto dove c’è lo Spirito e sarà tanto più ricco o tanto più maturo quanto più lo Spirito sarà esuberante. La vita dello Spirito si può compiere soltanto nella presenza e nella guida dello Spirito Santo e la guida sarà tanto più sicura ed efficace quanto più lo Spirito sarà esuberante nel credente.

 

Sì, l’etica cristiana impone il battesimo dello Spirito Santo che è sorgente di santificazione e santificazione interiore nel senso più completo di questo termine.

 

Queste sono le tre ragioni fondamentali che giustificano il messaggio della Pentecoste e nell’esporle ho precisato implicitamente i princìpi dottrinali di questo messaggio; essi possono essere riepilogati nei seguenti punti:

 

1. – Il battesimo dello Spirito Santo rappresenta un’esperienza spirituale promessa e necessaria alla cristianità di tutti i secoli.

 

2. – Quest’esperienza si differenzia dalle altre esperienze spirituali che la precedono e cioè da quella della fede in Cristo, dalla proclamazione di Cristo e dalla rigenerazione in Cristo.

 

3. – Il battesimo dello Spirito Santo conferisce potenza soprannaturale per il servizio e quindi impartisce doni spirituali ed autorità spirituale. Il dono delle lingue rappresenta soltanto uno fra i diversi doni dello Spirito.

 

4. – Il battesimo dello Spirito Santo conferisce altresì potenza soprannaturale per compiere la propria santificazione in Cristo.

 

5. – Soltanto il battesimo dello Spirito Santo rende idonea la chiesa cristiana ad adempiere fedelmente il mandato ricevuto da Cristo.

MEDITAZIONE

di Roberto Bracco - “Se perseverate nella mia Parola…” (Giovanni 8:31) - Questo passo dell’Evangelo di Giovanni ci fa comprendere tre cose di grande importanza :

 

- Per essere veramente discepoli di Gesù bisogna perseverare nella sua parola.

- Mediante la perseveranza nella sua parola si giunge alla conoscenza della verità.

- La conoscenza della verità produce la conquista della libertà.

 

La prima cosa ci dice chiaramente che fra coloro che seguono Gesù ci sono veri discepoli e discepoli falsi. La seconda cosa ci ricorda che la verità non può essere conquistata attraverso il solo studio intellettuale perché si può raggiungere unicamente percorrendo il sentiero dell’ubbidienza. La terza cosa infine ci ammaestra intorno al concetto della libertà e ci dichiara che essa non si può ottenere senza la verità.

 

Discepoli di Cristo, possessori della verità, figliuoli della libertà. Queste sono le qualifiche che l’Evangelo concede a coloro che… perseverano nelle parole del Maestro. Il mondo è pieno di persone che si dichiarano di Cristo; quasi tutte queste persone proclamano di possedere la verità e di godere la libertà; purtroppo invece, i veri discepoli del Signore sono pochi e generalmente questi pochi non concedono interviste e non fanno pubblicità della loro professione di fede.

 

Discepolo vuol dire seguace di un Maestro e Maestro vuol dire «insegnante». Non si può essere discepolo senza ricevere un insegnamento, ma non basta ricevere un insegnamento per essere discepolo. Seguace vuol dire «che segue», cioè che accetta l’insegnamento e che vive in armonia con l’insegnamento.

 

Per essere veramente discepolo è necessario quindi ricevere, incorporare e vivere l’insegnamento di Cristo. L’insegnamento deve operare nella vita del credente in maniera da obbligarlo a «seguire Gesù» ; il discepolo deve porre i suoi passi nel sentiero, nelle orme stesse, del Maestro.

 

Non c’è nessuna realtà umana che possa sostituire l’insegnamento di Cristo e quindi non esiste altro sentiero, per essere discepolo di Cristo, all’infuori di quello tracciato dalla sua parola. E’ una stolta illusione fondare il proprio cristianesimo sull’appartenenza ad una comunità cristiana. Cristiano vuol dire «discepolo di Cristo» ; discepolo di Cristo vuol dire seguace del Maestro e seguace del Maestro vuol dire seguire Gesù per la luce, il consiglio e la forza, del suo insegnamento divino.

 

Se perseverate nella mia parola sarete veramente miei discepoli e conoscerete la verità…

 

La verità non appartiene a tutti; appartiene ai discepoli di Cristo. Noi possiamo vantarci di possedere una ricchezza, anche se non l’abbiamo mai veduta, ma il nostro vanto non ci produrrà la ricchezza. Possiamo vantarci o illuderci di possedere la verità anche se non siamo veri discepoli del Maestro, ma questo non ci gioverà spiritualmente.

 

La verità non si può conquistare con la sola mente, benché anche la mente debba partecipare alla conquista della verità..

 

Forse per comprendere meglio la ragione che spiega gli ostacoli che si oppongono alla conquista della verità è necessario fermarci brevemente a considerare l’essenza della verità. Che cos’è la verità? Questa domanda non ha il medesimo accento che aveva sulle labbra di Pilato il quale pensava alla verità come a qualche cosa di astratto, di indefinito e di indefinibile che poteva, tutto al più, essere condensato in un concetto filosofico. No, per noi la domanda rappresenta l’espressione sincera della fede che cerca quasi di cogliere nella domanda stessa la risposta.

 

La verità è Cristo, termine di ogni giustizia, di ogni bene, di ogni lume. Sul terreno pratico, la verità è tutto quello che s’indentifica con Cristo; col carattere di Cristo, con le azioni di Cristo, col pensiero di Cristo, con la dottrina di Cri-sto, con l’amore di Cristo. La verità quindi è il contrapposto di ogni errore, di ogni parvenza, di ogni menzogna. Come è possibile dunque conquistare questa meravigliosissima e sfolgorante realtà con l’ausilio della sola mente? Non è necessario, per poterne afferrare il senso e coglierne la luce, tuffarsi in essa con tutta, tutta la vita? La verità diviene realtà nel credente nel momento stesso che non soltanto egli si tuffa in essa, ma l’assimila, la trasforma in elementi nutritivi della sua personalità, attraverso un processo di incondizionata sottomissione ad essa.

 

Conoscerete la verità… Una promessa che appartiene al futuro, non soltanto perché segue l’azione del credente, l’ubbidienza del credente; ma anche perché rimane perennemente avanti al discepolo di Cristo come un traguardo già raggiunto e pur mai raggiunto per intero. La verità vi farà liberi. Liberi dagli errori, dai pregiudizi, dagli spaventi, dalle influenze malefiche. Invano si combattono battaglie umane in nome della libertà e per la conquista della libertà; questo bene prezioso rimane retaggio di pochi, cioè di coloro che hanno conquistata la verità.

 

La vera libertà non è quella che è offerta dal mondo, dalle formule di pace, dalle conquiste belliche. Ci può essere democrazia, benessere, tolleranza di pensiero e di parola eppure vivere nella forma più cruda di schiavitù. Neanche quella libertà che frequentemente reclamano e rivendicano i cristiani, nell’esercizio della loro attività ministeriale, è vera libertà.

 

Si possono godere i più ampi riconoscimenti umani, si possono espletare le più multiformi attività sociali e pubbliche senza essere liberi, veramente liberi. Quanti legami, quante limitazioni esistono infatti nella vita di coloro che non hanno conosciuta la verità!

 

La libertà cristiana consegue il possesso della verità ed essa è veramente libertà. Il credente si sente libero in una cella di prigione e vive la libertà anche di fronte ad un pericolo di morte. Libero dal timore, libero dall’errore, libero dalle influenze, si sente fuori dalle circostanze del mondo e della vita, ma dentro alla vera libertà dei figliuoli di Dio.

 

Paolo, Stefano, Pietro… ecco uomini veramente liberi, anche in prigione, anche nel pericolo, anche di fronte alla morte liberi; liberi di proclamare forte il messaggio dell’Evangelo; liberi per vivere secondo la direttiva della propria coscienza illuminata da Dio; liberi dalle pene che vengono dai sentimenti ispirati dalla pusillanimità. Tre cose di grande importanza : professione vera, verità assoluta, libertà cristiana; queste tre cose si trovano sul sentiero dell’ubbidienza sincera e costante.

 

MEDITAZIONE

Elisabeth Prentiss (1818-1878) faceva l’insegnante prima di diventare moglie di un pastore e quindi madre.

 

Poco dopo la morte in tenera età del suo secondogenito (un bimbo splendido di nome Eddie), Elisabeth ebbe una bimba.

 

La malattia che la colpì dopo il parto le impedì di accudire la bimba, che poteva vedere solo una volta al giorno e che morì di lì a poco.

 

L’esperienza lasciò Elisabeth distrutta, ma la donna riuscì a superarla e a sviluppare un ministero meraviglioso per coloro che avevano sofferto un lutto e per moribondi.

 

Ecco come commentò la sua esperienza: “Credo che solo quelli che abbiano appreso Cristo negli ospedali, nella povertà, in un’incertezza dolorosa, nell’ansia, nelle avversità e davanti a una tomba aperta, possano conoscere la felicità più alta e più pura. Imparare a conoscere Cristo, questa è la vita”.

 

Elisabeth Prentiss non dimenticò mai la sua agonia di quei giorni, ma usò la sua esperienza per avvicinarsi ad altre madri nella stessa condizione e cercare di dare loro conforto.

 

Allo stesso modo, quelle donne che percorrono l’oscura valle dell’aborto, della morte di un figlio appena nato o di uno già adulto, possono infine trovarsi ad aiutare le altre in modo meraviglioso.

 

“Signore, tocca la mia vita

 

Come il maestro fa con i tasti di un pianoforte.

 

Crea armonia dove nella mia vita non c’è.

 

Crea la melodia che devo seguire,dove nella mia vita c’è soltanto confusione.

 

Tocca i tasti acuti quando sono giù e non riesco ad alzare la mia voce verso Te,

 

Tocca i tasti bassi e profondi quando la vita mi prende e non vengo a Te nel segreto della mia camera.

 

Sfiora i tasti bianchi quando devo essere imbiancato col sangue dell’Agnello,

 

Sfiora i tasti neri quando ho bisogno delle prove per crescere nella Tua fede.

 

Signore aiutami a leggere le pause per capire quando devo fermarmi a riflettere.

 

Signore scandisci il tempo, che io sappia quando pregare e quando agire.

 

O Signore ma prima di tutto questo,

 

O Padre prima di sederti a quello sgabello,

 

Prima di eseguire lo spartito della mia vita,

 

Prima di posare le Tue sante mani sulla tastiera o Padre,

 

Accordami affinché quando le Tue dita agilmente si muoveranno

 

il Tuo orecchio possa sentire ogni nota come la nota giusta

 

e che nessuna nota stonata possa rovinare lo spartito che Tu hai scritto per me”.

 

 

meditazione

DIO NON LASCERA' CHE TU TI SPEZZI

 

Ricorda a te stesso che Dio sa esattamente quanto sei in grado di sopportare, ed Egli non permetterà di giungere a un punto di rottura.

 

Il nostro amorevole Padre disse, "Nessuna tentazione vi ha finora colti se non umana; or Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze, ma con la tentazione vi darà anche la via d'uscita, affinchè la possiate sostenere" (1 Corinzi 10:13).

 

Il peggior tipo di bestemmia sarebbe pensare che ci sia Dio dietro tutti i tuoi dolori e le tue sofferenze, che sia la disciplina del Padre celeste, che Dio pensi che tu abbia bisogno di un altro paio di afflizioni prima di essere pronto a ricevere le Sue benedizioni. Non è così!

 

E' vero che il Signore castiga coloro che Egli ama, ma quel castigo è solo per un tempo ed esso non ha il fine di ferirci. Dio non è l'autore della confusione nella tua vita e non lo sei nemmeno tu. Il nemico cerca di colpirci attraverso altri esseri umani, proprio come cercò di colpire Giobbe per mezzo di una moglie incredula.

 

Il tuo Padre celeste veglia su te con un occhio vigile. Ogni movimento è sotto il Suo controllo ed ogni lacrima è raccolta. Egli sente ogni tua ferita e sa quando sei stato sufficientemente esposto all'attacco del nemico. Egli interviene e dice: "Basta!" Quando il tuo dolore non ti avvicina più al Signore e, al contrario, inizia a degradare la tua vita spirituale, Dio interviene. Egli non permetterà a un figlio che confida in Lui di affondare a causa del troppo dolore e angoscia dell'anima.

 

Dio ti trarrà fuori dalla battaglia in un determinato periodo, giusto in tempo. Egli non permetterà mai che il tuo dolore distrugga la tua mente. Egli promette di arrivare, proprio in tempo, per asciugare le tue lacrime e darti gioia al posto del lutto. La Parola di Dio dice: "Il pianto può durare per una notte, ma al mattino erompe un grido di gioia" (Salmo 30:5).

 

meditazione

 

UBBIDIENZA INCONDIZIONATA

"Fate tutto quel che vi dirà” (Giovanni 2:5)

 

Questa è una parola per tutti. E tale è il mot­to della vera consacrazione in ogni momento ed in ogni luogo. Ogni singola parola di questa frase ha un significato profondo e intenso. È la madre di Gesù a dire: “Fate tutto quello che Gesù vi dirà”. Nessun altro ha il diritto di comandarci. Apparteniamo a Cristo perché è Lui che ci ha redento. Egli è il nostro unico Signore e Maestro. Poi, non dobbiamo scegliere di ubbidire ad alcuni dei Suoi co­man­damenti e di rifiutarne altri. Non dobbiamo fare le cose piacevoli, e trascurare quelle che non si accordano con i nostri gusti o i nostri sentimenti. Dobbiamo essere disposti a fare tutte le cose che ci dice, anche quelle che ci costano sacrificio personale. Fu così che Ge­sù fece la volontà del Padre Suo. Quella volontà Lo portò alla croce, ma non si ritrasse quando vide la via farsi scura, o quando sentì i pesi che aumentavano sulle Sue spalle fino a schiacciarLo. Se vogliamo camminare sui Suoi passi la nostra ubbidienza deve essere completa. Ma come possiamo sapere cosa Egli dice? Non possiamo ascoltare la Sua voce nella stessa maniera in cui la udirono quei servitori durante il banchetto. Ora Egli parla tramite la Sua Parola, ed il cuore riverente riesce sempre a comprendere ciò che Egli dice, mentre le sacre pagine vengono ponderate in preghiera. Parla anche alla coscienza mantenuta tenera mediante l’ubbidienza. Non c’è mai incertezza, se siamo veramente desiderosi di conoscere la volontà di Dio. “Fate tutto quel che vi dirà”! Non dovremmo mai fare domande né proporre consigli quando Gesù parla: l’unica cosa che conta è l’ubbidienza. Non dovremmo mai chiedere quali potrebbero essere le conseguenze, quanto ci potrebbe costare: dobbiamo semplicemente ubbidire. Cristo vuole che noi facciamo qualcosa, e questa dovrebbe essere per noi una ragione sufficiente.

 

meditazione

RIUSCIRE DOVE GLI ALTRI FALLISCONO

 

 

Giosuè 14:6-15

 

 

 

Uno dei compiti più difficili che abbiamo nella vita è essere fedeli, fare del nostro meglio quando non siamo sotto i riflettori e qualcun altro riesce ad ottenere tutta l’attenzione e i meriti.

 

 

È faticoso occupare nell’orchestra il posto del “secondo violino”, ma la vera prova del nostro sincero impegno verso il Signore sta nel lavorare bene quando siamo dietro le quinte agevolando coloro che sono sotto i riflettori dei ruoli più in vista.

 

 

Caleb è stato pari a Giosuè nel suo impegno costante verso il Signore.

 

 

La prima volta che sentiamo parlare Caleb è in Numeri 13:30 quando ad Israele fu offerta la prima opportunità di entrare nella terra promessa e l sue parole furono: “Caleb calmò il popolo che mormorava contro Mosè, e disse: «Saliamo pure e conquistiamo il paese, perché possiamo riuscirci benissimo.”

 

 

Tra tutta la vecchia generazione che uscì dall’Egitto, solo a Giosuè e Caleb fu permesso di entrare nella promessa.

 

 

Quando Giosuè fu scelto per essere il successore di Mosè, Caleb ha fatto di tutto per sostenerlo.

 

 

Alla fine del capitolo 12, non tutto il territorio è conquistato anche se le principali minacce militari sono state sconfitte in tutto il paese.

 

 

Giosuè sta dividendo il paese tra le tribù di Israele, quando il suo vecchio amico gli ricorda una promessa fatta dal Signore 45 anni prima (Giosuè 14:7-12).

 

 

Caleb ha fatto ed ha dimostrato almeno tre cose che gli hanno consentito di riuscire, là dove 600.000 avevano fallito.

 

 

1. CALEB ERA UN UOMO DI CONVINZIONI

 

 

“…perché possiamo riuscirci benissimo” Numeri 13:30; “I miei fratelli, che erano saliti con me, scoraggiarono il popolo, ma io seguii pienamente il SIGNORE, il mio Dio.” Giosuè 14:8

 

 

Aveva convinzioni talmente forti che la gente non lo capiva, e quando parlò loro che Dio avrebbe dato la terra promessa, volevano lapidarlo -Numeri 14:10

 

 

Caleb ha chiesto il paese collinare di Hebron, il che significava che avrebbe dovuto combattere con i giganti – Giosuè 14:12;

 

 

HEBRON era una parte importante del patrimonio ed aveva un grande significato spirituale:

 

 

- è stato lì che fu sepolta Sara, la moglie di Abramo; Genesi 23:19

 

 

- Abramo fu poi sepolto -Genesi 25:10

 

 

- Isacco, Rebecca, Giacobbe e Lea sono stati sepolti lì – Genesi 49:10;

 

 

Ha rifiutato di credere alle pressioni dei coetanei e dell’opinione popolare. Non ha avuto paura di ciò che gli altri pensavano di lui.

 

 

Caleb era un uomo di convinzioni perché credeva che Dio avrebbe fatto ciò che aveva promesso.

 

 

Qualcuno ha detto: “Le emozioni sono come le nuvole le convinzioni come il cielo!”.

 

 

2. CALEB ERA UN UOMO CHE HA MAI SMESSO DI CREDERE - Giosuè 14:10

 

 

Ha dovuto aspettare 45 anni per vedere questa promessa realizzata, ma non ha mai rinunciato.

 

 

La vera fede sa aspettare – Giobbe 35:14

 

 

Caleb ha avuto molto delusioni che hanno cercato di abbattere la sua fede in Dio:

 

 

- il rapporto straziante delle 10 spie;

 

 

- la mancanza di fede del popolo di Dio;

 

 

- il pellegrinaggio durato altri 38 anni nel deserto;

 

 

- i funerali della vecchia generazioni;

 

 

La fede genuina segue il Signore durante i periodi di crepacuore, di delusione e di avversità.

 

 

Caleb ha scacciato gli Anachiti dalla sua terra a differenza della maggior parte delle altre Tribù d’Israele. Gli altri erano interessati alle loro comodità più che alla completa ubbidienza. Il risultato è stato quello di inquinare il popolo di Dio con le loro pratiche idolatriche.

 

 

Il Signore onora sempre quelli che lo onorano.

 

 

3. CALEB ERA UN UOMO NON COLPEVOLE DI INVIDIA – Giosuè 14:6

 

 

Caleb avrebbe potuto essere invidioso perché Giosuè era stato scelto come successore di Mosè.

 

 

Giacomo 3:16

 

 

L’invidia si vede – Marco 15:10

 

 

L’invidia può essere anche uno “stimolo” per fare cose buone, ma non è la strada di Dio per noi – Filippesi 1:15;

 

 

Qualcuno ha detto: “Come la ruggine corrode il ferro, così l’invidia corrompe l’uomo!”

 

 

Tutti noi possiamo essere tentati dall’invidia quando gli altri ricevono maggiore attenzione e più successo di noi, specialmente quando magari abbiamo fatto di meglio noi. In queste circostanze, Dio mette alla prova la nostra devozione per Lui per vedere come reagiamo.

 

 

L’invidia è un sintomo di mancanza di apprezzamento e di autostima per noi stessi.

 

 

 

 

DIO È GRANDE!

 

Archetto Brasiello

 

 

 

meditazione

“In passato eravate tenebre, ma ora siete luce nel Signore. Comportatevi come figli di luce” (Efesini 5:8).

 

Il comportamento dell’uomo potrebbe essere definito: “la finestra dell’anima”.

 

Non è la maniera con cui reagiamo quando abbiamo avuto abbastanza tempo per riflettere riguardo ad una situazione, bensì la maniera in cui lo facciamo quando non abbiamo tempo di pensare e possiamo dare solo una risposta.

 

Di solito, le circostanze che si presentano durante un normale giorno di lavoro non ci modellano, tantomeno ci distruggono; ci rivelano semplicemente chi siamo.

 

Dedichiamo molto tempo ad imparare come reagire; così diventiamo bravi attori ma, quando si presenta qualcosa di inatteso e dobbiamo reagire rapidamente, la nostra ‘rappresentazione’ è quasi sempre messa da parte e la risposta viene dal nostro intimo.

 

In passato, William Sangster fu una figura pubblica molto amata in Inghilterra.

 

Molti però non sapevano che lui lottasse contro la distrofia muscolare progressiva.

 

Nonostante la sua malattia avanzasse, lui servì correttamente e con spirito nobile, dimostrando un comportamento positivo e vincente, al punto di essere noto in tutto il mondo di lingua inglese per ciò che lui definì:

 

“I miei quattro propositi”

 

- Non mi lamenterò mai;

 

- Farò splendere sempre la Sua luce;

 

- Testimonierò delle mie benedizioni;

 

- Trasformerò le mie perdite in profitti.

 

Qualcuno ha detto:

 

“Sono convinto che il 10% della vita è ciò che mi accade, ma il 90% è come reagisco io a tutto questo”.

 

Siamo responsabili del nostro comportamento! Ci hai mai pensato?

 

Joni Eareckson è stata il modello ispiratore di un’intera generazione di cristiani.

 

Nel 1967, all’età di 17 anni, si ruppe il collo facendo un tuffo.

 

Quando i suoi amici andarono a trovarla in ospedale furono sconvolti dall’atrocità del suo aspetto.

 

Quando seppe che non sarebbe mai più stata in grado di usare le braccia e gambe e che avrebbe dovuto dipendere totalmente dagli altri, Joni desiderò morire.

 

La sua fede la portò a confrontarsi con domande difficili: “Perché Dio ha permesso questo? Mi guarirà, se avrò abbastanza fede?”.

 

Alla fine Dio utilizzò Joni per raggiungere decine di migliaia di persone, attraverso i suoi libri, tramite il film tratto dalla sua vita e grazie al suo ministero con i disabili.

 

Niente di tutto ciò sarebbe successo se l’incidente non fosse avvenuto.

 

In un’intervista, 25 anni più tardi, Joni affermò: “Immagino che sia per questo che non mi importa di stare su una sedia a rotelle e di rassegnarmi alla sofferenza. Se significa garantire l’entrata nel regno di Dio a più persone, affinché diventino parte della Sua famiglia, tutto acquista un senso. Soffrire senza un fine, soffrire per nulla…questo sarebbe doloroso“.

 

Ripeto la domanda: “Siamo responsabili del nostro comportamento! Ci hai mai pensato“?

 

 

MEDITAZIONE

POTENZA E SAPIENZA

"I giorni dell’uomo son come l’erba: egli fiorisce come il fiore del campo: se un vento gli passa sopra ei non è più, e il luogo dov’era non lo riconosce più” (Salmo 103:15, 16)

 

Anima mia, non è un bene essere come l’erba? Il tuo Dio non si prenderà cura di te maggiormente, e non ti renderà capace di affrontare qualsiasi circostanza, facendoti sempre trionfare? Qualunque cosa tu abbia coscienza di essere, rallegrati in Lui. La potenza, la sapienza e l’amore celesti ti appartengono in Cristo! “Solo un filo d’erba”, dice il nemico sprezzante. Ma osserva come il tuo Dio riveste “l’erba dei campi”! La sua radice è molto più fibrosa e tenace di qualsiasi altra pianta. Lo stelo è cavo, eppure rivestito di una sottile pellicola molto consistente: unisce così una grandissima forza a un’incredibile leggerezza ed eleganza, al punto che non viene distrutto neppure dalle tempeste più violente. Le foglie hanno la forma allungata e sono rinforzate con nervature di fibre forti: sono lunghe, strette e alternate, per offrire al vento, con la superficie più piccola possibile, una presa minima. Sono prive di rami, per poter crescere e vivere insieme senza soffrire per carenza di aria e di luce. Lo stelo è consistente e ricoperto da orifizi, che favoriscono la respirazione e agiscono da polmoni insieme alle foglie. In questo modo il Signore riveste l’erba dei campi. Una tale potenza e sapienza s’incontrano e sono manifestate in ogni singola componente del filo d’erba. Di fronte a queste evidenze, cosa avrà in serbo il Padre celeste per i Suoi figli? Possiamo nutrire una tranquilla e irremovibile fiducia nell’amore di Dio. Esso non verrà mai meno. Per quanto tu possa essere debole e sentirti inutile come l’erba, il Signore avrà cura di te. Con l’Onnipotente al tuo fianco non devi temere alcun male. L’erba è la prova del Suo insuperabile amore e della Sua infallibile sapienza in ogni cosa.

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LA VERA GIUSTIZIA

"Se la vostra giustizia non supera quella degli scribi e de’ Farisei, voi non entrerete punto nel regno dei cieli” (Matteo 5:20)

 

Invece di abolire o distruggere la legge, Gesù dà ad essa un nuovo significato. Il modo in cui Egli la spiegò, fece breccia molto più profondamente nella vita della gente rispetto all’insegnamento impartito dai religiosi del Suo tempo. Essi avevano insegnato che era necessaria una rigida ubbidienza formale, Gesù disse loro che se tutto si fermava a questo, non sarebbero potuti entrare nel regno dei cieli. Invece di abbassare le richieste della legge divina, Egli le elevò e diede loro un nuovo significato. Spiegò che la giustizia dei Suoi seguaci doveva essere di gran lunga migliore di quella di un adepto della religione del Suo tempo. Essi erano puntigliosi nell’osservanza di mille piccole regole concernenti il cerimoniale, l’abbigliamento, il comportamento e le abitudini devote: ma la loro vita era piena di orgoglio, egoismo e ipocrisia. Gesù disse che se i Suoi discepoli non avessero avuto una giustizia migliore di questi Giudei ortodossi non sarebbero mai entrati nella famiglia di Dio. La sola giustizia che sarà accettata da Cristo è quella che trae fondamento dal cuore, e quindi produce ubbidienza e santità in ogni aspetto la vita. Dobbiamo applicare a noi questa verità, molto accuratamente. Il fatto di unirsi alla Chiesa non fa di una persona un cristiano. L’osservanza scrupolosa di tutte le regole della Chiesa non equivale ad essere buoni. Ci deve essere fede, amore, ubbidienza e sottomissione. Al posto della semplice ubbidienza formale, la legge è scritta nel cuore del vero credente, ed egli riceve gli impulsi dal­l’in­ter­no. Dovremmo sforzarci quindi di rendere la nostra ubbidienza profonda e leale in modo che la nostra vita rifletta in ogni aspetto la radiosità di Cristo.

 

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Quando ti senti giù

 

“...NOI CI PRESENTEREMO... DAVANTI A TE... A TE GRIDEREMO... TU CI UDRAI E CI SALVERAI” 2 Cronache 20:9

 

Un membro di chiesa chiese, un giorno, al suo pastore: “Ti senti mai demoralizzato?”. “Certamente!” gli rispose. “Che cosa fai quando ti succede?”, continuò l’uomo. “Semplice, mi rialzo. Essere scoraggiato non è il mio problema – lo è il non rialzarmi, per cui ho due sole possibilità: o resto giù o mi rialzo; ho imparato, a mie spese, a non fermarmi in mezzo”. Sebbene sentirsi depressi sia un sentimento universale, i sociologi ci mettono in guardia contro le due cause più comuni: paura e affaticamento. Osserviamoli uno per uno: 1) La paura. Quando gli eserciti edomiti marciarono contro Israele, tanto il re quanto il popolo furono sopraffatti dalla paura. Si sentivano impotenti e temevano di perdere i possedimenti che Dio aveva loro donato. Qualora lo stress degli ultimi anni ti avesse lasciato in preda a un sentimento di paura, imita ciò che fece il re; si rivolse a Dio e pregò: “Quando ci cadrà addosso qualche calamità... davanti a te... a te grideremo... tu ci udrai e ci salverai” (v. 9). Non permettere alla paura di farti perdere speranza e visione, va alla presenza di Dio, grida a Lui, e osserva come ti salverà. Nell’Antico Testamento, Dio ricordava a Israele le opere potenti che aveva fatto in loro favore. Egli desiderava che lo avessero sempre ben presente per farsi coraggio. Qualche volta, però, la paura annebbiava la loro memoria, e cominciavano a dubitare. Ti suona, forse, familiare? Ecco perché disse loro: “...Non temete e non vi sgomentate... poiché questa non è battaglia vostra, ma di Dio” (v. 15). In altre parole: “Non sarete voi a vincere il nemico perché questo è compito mio. Io sono in controllo: solo abbiate fede in Me”. Ricordati, quindi, chi ha il controllo della situazione! Oggi presentati a Lui e credi alle Sue promesse!