NOTIZIE MONDIALI

8 GENNAIO 2014: WORLD WATCH LIST 2014

è uscita la nuova WWL, al suo interno troverete diverse notizie in merito alla persecuzione dei Cristiani in ben 50 paesi.
Tante nuove notizie al link

http://www.porteaperteitalia.org/persecuzione/_wwlist/
World Watch List 2014
www.porteaperteitalia.org
La WORLD WATCH LIST elenca 50 paesi secondo l’intensità della persecuzione che i cristiani affrontano per il fatto di confessare e praticare attivamente la loro fede. E’ compilata da analisti di Porte Aperte specialisti della persecuzione, ricercatori ed esperti sul campo 

NOTIZIE DALLO SRI LANCA

CHIESE ATTACCATE DA VANDALI IN SRI LANKA

16 gennaio 2014 News

Sri Lanka church attackHikkaduwa, SRI LANKA (ANS) - Violente proteste hanno interrotto il servizio della domenica mattina del 12 gennaio, in due chiese a Hikkaduwa, una piccola città costiera nel sud dello Sri Lanka. Testimoni oculari riferiscono che una folla guidata da monaci buddisti hanno assediato una chiesa delle Assemblee di Dio e la Chiesa “Calvary Free Church”, minacciando i fedeli e compiendo atti vandalici nelle due chiese. Secondo Kristel Ortiz, che scrive per il sito delle “Assemblies of God World Missions” (http://worldmissions.ag.org ), i monaci sostenevano che le chiese erano centri di preghiera illegali e ne hanno chiesto la chiusura. Tuttavia, i fedeli sostengono che usano quei locali fin dal 1997.

 

Entrambe le chiese sono state gravemente danneggiate, e le apparecchiature audio, gli strumenti musicali, i mobili, la letteratura e le Bibbie sono state distrutte.

 

Un responsabile delle Assemblee di Dio ha dichiarato: “La polizia ha fatto sgomberare i credenti dal retro dell’edificio e li ha fatti rifugiare nelle case vicine, e siamo grati a Dio che nessuno di loro ha subito danni.”

 

Ortiz ha anche detto che sebbene la polizia aveva promesso protezione alle chiese e le aveva consigliate di continuare con i loro servizi, al momento dell’attacco la presenza della polizia era insufficiente per trattenere quella

 

“Chiediamo il vostro sostegno con la preghiera perché la giustizia, la pace e il buon senso possano prevalere e per la protezione di questi pastori, dei credenti e delle loro famiglie. Per favore pregate per la leadership delle Assemblee di Dio nell’incontro che avremo per discutere sul da farsi in questa incerta e sleale situazione “, dice il pastore della chiesa delle Assemblee di Dio.

 

Il Dr. George Wood, sovrintendente generale delle Assemblee di Dio e presidente della “World Assemblies of God Fellowship” (AGWM) esorta i credenti a sostenere i fratelli dello Sri Lanka che sono perseguitati per la loro fede e per i locali di culto, anche perché la costituzione dello Sri Lanka dà chiaramente loro ragione. Egli aggiunge: ”Preghiamo che nei giorni a venire siano trattati con giustizia.”

 

Secondo un portavoce della polizia, 24 persone della folla assalitrice, tra cui otto monaci, sono stati identificati, e i loro nomi trasmessi al giudice. Inoltre, una completa relazione dell’attacco è stata redatta, e consegnata al ministero degli affari religiosi.

 

“Pregate che Dio dia forza e saggezza ai nostri fratelli in Sri Lanka che soffrono per la loro fede”, dice Greg Mundis, direttore esecutivo delle AGWM. ”Hanno bisogno di un’abbondante misura della grazia e della potenza di Dio, mentre cercano di mostrare la compassione di Cristo e di dimostrare il suo amore a coloro che si oppongono al messaggio del Vangelo.”

 

 

NOTIZIE DALL'INDONESIA

INDONESIA – Cristiani in crescita ad Aceh, ma niente permessi per costruire chiese

11 gennaio 2014 NOTIZIE DAL MONDO EVANGELICO

indonewwswswwswwwwwwiaBanda Aceh – La piccola comunità cristiana nella provincia indonesiana di Aceh, nel Nord dell’isola di Sumatra, prospera ed è in crescita ma ottenere permessi per costruire chiese risulta impossibile, riferiscono all’agenzia di stampa Fides le Chiese cristiane locali. Nella provincia, nota perché ha approvato parti della sharia (la legge islamica) nella legge civile, i cristiani, secondo i dati del censimento 2010, sono l’1,2 % della popolazione che in totale conta circa 4,5 milioni di abitanti. Esistono solo tre chiese nel capoluogo Banda Aceh (una cattolica e due evangeliche) e, anche se la popolazione cristiana di Aceh risulta in crescita, gli stretti requisiti per ottenere autorizzazioni e le pressioni dei gruppi radicali islamici sulle autorità civili hanno reso oltremodo difficile per i non musulmani costruire nuovi luoghi di culto. Inoltre l’attuale governatore della provincia, Zaini Abdullah, eletto nel 2012, promuove un dichiarato programma di islamizzatone della società.

Le regole per concedere permessi di costruzione variano da provincia a provincia, in Indonesia. Secondo Zulfikar Muhammad, coordinatore della “Aceh Human Rights Coalition”, che accoglie circa 30 organizzazioni, “ queste regole limitano di fatto minoranze nel libertà di praticare la loro fede e non sono coerenti con al Costituzione indonesiana”.

Un’ordinanza del Ministero degli Interni indonesiano stabiliva nel 2006, come requisiti necessari, la richiesta firmata da almeno 90 membri di una comunità e, in più, una lettera di sostegno firmata da almeno 60 residenti locali, non appartenenti alla comunità. Ad Aceh, nel 2007, la normativa è stata modificata in senso restrittivo dal governatore locale: per la provincia sono necessarie le firme di almeno 150 fedeli e, inoltre, le firme di sostegno di 120 residenti. Con tali requisiti, non solo i cristiani non riescono a ottenere nuovi permessi ma alcune sale di preghiera esistenti sono state chiuse: a ottobre 2012, l’amministrazione si Banda Aceh ordinato chiusura di nove luoghi di culto appartenenti a cristiani e buddisti, citando il mancato rispetto delle leggi vigenti. In sei casi, sono risultate decisive le rumorose proteste dei militati dell’Islamic Defenders Front (FPI). Sei mesi prima, nel sud della provincia di Aceh le autorità hanno ordinato la chiusura di altri 17 luoghi di culto cristiani. (PA) (Agenzia Fides 10/1/2014)

NOTIZIE DI PERSECUZIONI NEL MONDO

World Watch List 2014

Analisi della persecuzione nel mondo

 

WWListMappa2013

 

La WORLD WATCH LIST elenca 50 paesi secondo l’intensità della persecuzione che i cristiani affrontano per il fatto di confessare e praticare attivamente la loro fede. E’ compilata da analisti di Porte Aperte specialisti della persecuzione, ricercatori ed esperti sul campo operativo e indipendenti all’interno dei vari paesi. I livelli assegnati sono basati su vari aspetti della libertà religiosa, nella fattispecie identificano principalmente il grado di libertà dei cristiani nel vivere apertamente la loro fede in 5 aree della vita quotidiana: nel privato, in famiglia, nella comunità in cui risiedono, nella chiesa che frequentano e nella vita pubblica del paese in cui vivono, a cui si aggiunge una sesta area che serve a misurare l’eventuale grado di violenze che subiscono.

Dalla WWList 2014 (quindi basata su dati 2013), la metodologia della WWList è stata sottoposta al controllo e alla valutazione dell’organismo internazionale indipendente International Institute for Religious Freedom (http://www.iirf.eu/) per mostrare la massima trasparenza e utilità dell’immenso lavoro di raccolta e analisi dati fatto da Porte Aperte e sfociante nella WWList. L’IIRF ne ha attestato la professionalità e l’affidabilità dei contenuti.

 

SCARICA LA MAPPA WWLIST 2014 IN PDF

 

 

 

 

 

 

Cosa cambia rispetto alla precedente lista

Vi proponiamo una sintesi dei cambiamenti avvenuti nella WWList 2014 rispetto a quella dell’anno precedente, ricordandovi che il periodo coperto dalla WWList dal 1 Novembre 2012 al 31 Ottobre 2013.

 

• La Corea del Nord è al °1 posto per il 12° anno consecutivo. Si stima che tra 50.000 e 70.000 cristiani soffrano negli orribili campi di prigionia nordcoreani. Coloro che vengono trovati in possesso di una Bibbia affrontano lunghe detenzioni o addirittura la morte.

 

• Nella top 10 della lista oltre alla Corea del Nord troviamo Somalia, Siria, Iraq, Afghanistan, Arabia Saudita, Maldive, Pakistan, Iran e Yemen: 9 di queste 10 nazioni sono a maggioranza islamica. L’estremismo islamico è il motore della persecuzione in 36 dei 50 stati della WWList. Tutto ciò riflette un’intensificazione del trend che negli ultimi 15 anni ha reso l’estremismo islamico la fonte principale di persecuzione dei cristiani.

 

• In ben 34 nazioni la persecuzione è aumentata rispetto all’anno precedente (64%). In 5 nazioni la persecuzione è diminuita, ossia la situazione per i cristiani è migliorata (10%). Nel resto delle nazioni la situazione è rimasta più o meno la stessa (26%).

 

• Per la prima volta una nazione sub-sahariana, la Somalia, raggiunge la seconda posizione. Sempre in Africa, il Sudan è all’11°. I paesi africani assumono un ruolo determinante nella WWList. La Repubblica Centrafricana è la nuova new entry, direttamente al 16° posto: violenze orribili sono state dirette contro i cristiani dai ribelli Seleka nel periodo preso in esame.

 

• Per la prima volta la Siria (dall’11° alla 3°) e il Pakistan (dalla 14° all’8°) entrano nella top 10. La terribile guerra civile in atto in Siria è un’ovvia ragione di questa scalata. Il Pakistan invece diventa sempre più per i cristiani un posto dove è difficile vivere. Gli islamici più radicali hanno ampio margine di manovra e spesso commettono crimini e discriminazioni contro i cristiani rimanendo impuniti: il governo non sembra in grado di garantire la sicurezza della minoranza cristiana.

 

• La violenza contro i cristiani è stata più visibile nei cosiddetti paesi “in crisi” o in via di dissoluzione. Basti pensare a stati come Somalia, Siria, Iraq, Afghanistan, Pakistan, Yemen e Repubblica Centrafricana, per capire di cosa si tratta, senza dimenticare Libia e Nigeria.

 

• Le nazioni uscite dai primi 50 stati dove esiste la persecuzione e quindi dalla WWList 2014 sono l’Azerbaigian (al 38° posto l’anno scorso), Kirghizistan (49°) e l’Uganda (47°), che rimangono sorvegliati speciali. Oltre alla Repubblica Centrafricana, entrano Sri Lanka direttamente al 29° posto e il Bangladesh al 48°.

 

• La Colombia fa un enorme salto nella WWList, dalla 46° alla 25° posizione, dimostrando come sia possibile in una nazione cristiana parlare in molte aree di persecuzione dei cristiani.

 

• I paesi con il più elevato numero di violenze contro i cristiani (assassini, rapimenti, stupri, distruzioni di chiese) sono: Repubblica Centrafricana, Siria, Pakistan, Egitto, Iraq, Myanmar, Nigeria, Colombia, Eritrea e Sudan.

 

• Una buona notizia è la discesa notevole del Mali, dalla 7° alla 33°. Anche la Tanzania passa dalla 24° alla 49°.

EGITTO

Egitto: un capodanno di minacce

02-01-2014EGITTO

Nonostante le tante minacce a moltissime chiese, il capodanno è passato tutto sommato pacificamente, per la grande comunità cristiana egiziana. Ce ne parla il fratello Michael, collaboratore egiziano di Porte Aperte.

“Grazie di cuore per le vostre premurose e genuine preghiere che noi, Chiesa egiziana, abbiamo sentito nel corso di questi ultimi giorni dell’anno. Voci parlavano di possibili attacchi a molte chiese e ai cristiani di tutte le denominazioni da parte dei sostenitori della Fratellanza Musulmana, soprattutto durante la notte dell’ultimo dell’anno. Vogliamo insieme a voi ringraziare Dio perché il capodanno è passato tutto sommato pacificamente, con molte riunioni dove milioni di cristiani egiziani si sono potuti incontrare liberamente e rinnovare così la loro fede nel Signore e nel Suo piano per le loro vite e la nostra nazione”, ci scrive un nostro collaboratore egiziano, il fratello Michael (nome inventato per ragioni di sicurezza). Michael sarà presente al nostro convegno annuale a Rimini il 2-4 maggio 2014, dove ci parlerà approfonditamente delle testimonianze delle sorelle e dei fratelli egiziani e del difficile momento del suo paese.

 

Tra la comunità cristiana egiziana vi era un’atmosfera di grande preoccupazione per queste festività (che tuttavia continua in questi giorni), a causa delle minacce lanciate dai più radicali dei Fratelli Musulmani. Di fatto tra il 23 dicembre e la fine dell’anno, l’Egitto è stato al centro di un’escalation di violenze che ha portato a decine di morti e feriti. Poco prima del 25 dicembre, un’autobomba a Mansoura vicino alla stazione di polizia ha ucciso almeno 15 persone, mentre il 26 una bomba è esplosa al Cairo presso l’Università Al Azhar e altri 3 ordigni sono stati invece disinnescati. È subito scattata la messa al bando del movimento dei Fratelli Musulmani da parte del governo, considerati la mente e il braccio di questi attacchi, e, il giorno dopo, la loro reazione con una serie di manifestazioni che ha portato a scontri in piazza, all’incendio di un edificio della stessa università del Cairo e ad altri morti e feriti. In mezzo a questa estrema tensione, le minacce contro la comunità cristiana sono state più o meno continue.

 

“Un paio di attacchi purtroppo sono stati registrati. In uno di essi, un giovane cristiano di 23 anni ha perso la vita, mentre un commando di estremisti islamici, legati alla Fratellanza Musulmana, apriva il fuoco contro una Chiesa Ortodossa in un quartiere del Cairo”, ci ha confermato Michael, per poi affermare: “Tuttavia entriamo in questo nuovo anno rassicurati dalle promesse di Dio e dal supporto della famiglia cristiana mondiale che prega per noi e ci sostiene, cosa che noi consideriamo come un grande privilegio”.

 

L’8 gennaio prossimo uscirà la nuova WWList, la lista dei paesi dove esiste la persecuzione, in contemporanea in tutti i paesi dove opera Porte Aperte, quindi anche in Italia. E’ facile prevedere che l’Egitto, oggi al 25 posto della WWList, sia una di quelle nazioni che purtroppo salirà in questa classifica

 

Africa-Tanzania

AFRICA/TANZANIA – Leader cristiani aggrediti e perseguiti con false accuse

16 dicembre 2013 PERSECUZIONE

8150615-africa-tanzania-il-5-marzo-2009-villaggio-masai-un-gruppo-maasai-uomini-savana-un-sole-splendenteDodoma (Agenzia Fides) – Sono aumentate in modo esponenziale l’insicurezza e il rischio per i leader cristiani in Tanzania nel 2013: nel corso dell’anno – denuncia l’Ong “Barnaba Team” che monitora la condizione delle comunità cristiane – un numero consistente di leader delle Chiese sono stati uccisi o feriti in attacchi violenti. Fra le vittime, il laico cristiano Eliya Meshack, ucciso a colpi di machete mentre guidava un incontro di preghiera nella provincia di Mwanza il 22 ottobre scorso. A settembre Joseph Anselmo Mwagambwa è stato sfigurato con l’acido a Zanzibar, mentre a giugno il Pastore Robert Ngai ha subito gravi lesioni alle mani e le braccia, colpito con machete in casa sua, a Geita. A febbraio fecero scalpore la decapitazione del rev. Mathayo Kachila a Buseresere e l’uccisione del rev. Evarist Mushi, colpito a morte fuori dalla sua chiesa a Zanzibar.

Inoltre, molti Pastori e leader cristiani, afferma la nota dell’Ong “Barnaba team” inviata a Fides, si trovano ad affrontare accuse penali false: devono fronteggiare da una parte così un crescente islamismo militante e violento; dall’altra l’ostilità di gruppi islamici che, per colpirli, ricorrono a procedimenti giudiziari, con l’appoggio di magistrati compiacenti.

Nei diversi attacchi le Chiese indicano il coinvolgimento del gruppo “Uamsho” (“il risveglio”), organizzazione separatista islamica che lotta per l’indipendenza di Zanzibar. Altre azioni violente si possono attribuire ad “al-Shabaab”, gruppo militante islamico con sede in Somalia. Anche sul versante giudiziario, i leader cristiani sono sottoposti a vessazioni: 52 false denunce sono state depositate contro i Pastori cristiani, accusati spesso di blasfemia verso l’islam e il Profeta Maometto, oppure di aver battezzato e convertito bambini musulmani.

 

Iran

Iran: il pastore Farhad di nuovo libero

 

Il pastore Farhad e un membro della sua chiesa ufficialmente riconosciuta (Assemblee di Dio in Iran) sono stati rilasciati dopo un anno di prigione. Le pressioni contro le chiese ufficialmente riconosciute permangono nell’arco di tutto il 2013.

Il pastore Farhad, sua moglie Shahnaz e due membri di chiesa, Davoud e Naser, furono arrestati in seguito ad un’irruzione della polizia iraniana nella Chiesa,ufficialmente riconosciuta, delle Assemblee di Dio nella città di Ahvaz, durante il culto del 23 dicembre 2011. Furono poi rilasciati su cauzione in gennaio (Shahnaz), febbraio (Farhad e Naser) e marzo 2012 (Davoud). Il 15 ottobre 2012 furono condannati a un anno di prigione ciascuno e alla confisca di tutto il materiale cristiano in loro possesso per “aver convertito al cristianesimo, invitando musulmani a convertirsi, e aver fatto propaganda contro il regime islamico, attraverso la promozione della fede cristiana evangelica”. Il primo maggio di quest’anno (2013), dopo che un’Alta Corte aveva rigettato il loro appello, sono stati incarcerati per scontare la loro pena di un anno.

Farhad e Naser sono stati rilasciati mercoledì 4 dicembre scorso, con circa 2 settimane di anticipo rispetto al completamento della sentenza, mentre Shahnaz e Davoud rimangono in prigione. La chiesa delle Assemblee di Dio rimane chiusa. Le pressioni contro chiese ufficialmente riconosciute sono aumentate nel corso del 2012, così come nel 2013 sono aumentate la sorveglianza e le restrizioni imposte, con in più, addirittura, la chiusura di alcuni servizi, nello specifico quelli del venerdì in lingua farsi (la lingua principale del paese, quindi quella con cui sarebbe più facile raggiungere la popolazione musulmana locale).

La comunità cristiana iraniana si rallegra del rilascio di questi fratelli. Preme qui sottolineare come si stia parlando di quella parte delle comunità che sono riuscite ad avere un riconoscimento ufficiale, ma che ugualmente subiscono pressioni. Che dire poi di quelle non riconosciute? Di tutti i fratelli e sorelle costretti a riunirsi in segreto nelle case, nelle cosiddette comunità familiari (o house church)? L’Iran manterrà sicuramente un’elevata posizione nell’ormai imminente nuova WWList 2014, attestandosi tra i primi 10 paesi al mondo dove più si perseguitano i cristiani.

notizie

Repubblica Centrafricana: al loro fianco

05-12-2013

Un anno di conflitti e violenze si tramuta in uno stato di caos ed emergenza. I cristiani sono particolarmente bersagliati dai ribelli Seleka. In una conferenza organizzata da Porte Aperte mettiamo insieme vari leader nazionali e regionali. Esserci sarà il focus del 2014.

Sin dall’inizio dell’anno le comunità cristiane della Repubblica Centrafricana hanno dovuto affrontare intense sofferenze. Nel dicembre 2012 i ribelli musulmani Seleka cominciarono a conquistare ampie aree del centro e del nordest del paese, per poi, il 24 marzo 2013, prendere possesso della capitale Bangui e costringere alla fuga il presidente Bozizé. Da quel momento in poi il paese ha iniziato un rapido declino verso l’anarchia: la coalizione dei Seleka si è frantumata in alcune fazioni, e signori della guerra e milizie varie hanno preso possesso di intere aree del paese. Violenze e atrocità sono state commesse contro l'intera popolazione, ma in particolar modo contro i cristiani.

 

Come sapete, Porte Aperte è un ministero di presenza, vogliamo, insieme a voi, essere presenti e stare al fianco dei fratelli perseguitati, perciò ad inizio ottobre la nostra missione ha organizzato nella capitale Bangui una conferenza che ha riunito 100 leader di chiese di tutte le denominazioni presenti, un’opportunità per responsabili nazionali e regionali di condividere quanto è successo (e sta succedendo) alle congregazioni cristiane durante questa terribile guerra. Secondo i partecipanti è stato un tempo di profonda riflessione, condivisione e preghiera insieme, in cui si sono considerate persino le aree in cui la chiesa è stata mancante in questo oscuro periodo di violenze. Si è firmata infine una dichiarazione congiunta sulla situazione della chiesa nella Repubblica Centrafricana, dichiarazione utilizzata a vari livelli nella diplomazia internazionale per attirare l’attenzione dei media, dell’ONU e degli stati membri.

 

Le violenze hanno creato una vera e propria emergenza umanitaria e la persistente insicurezza ha inevitabilmente intaccato le operazioni di soccorso. Il 27 novembre scorso le Nazioni Unite hanno preso atto dello stato di crisi della Repubblica Centrafricana e dichiarato che il paese corre il rischio di finire nel “caos più completo”. Ci sono almeno 400.000 rifugiati interni al paese, mentre 200.000 sono fuggiti nelle nazioni confinanti: migliaia e migliaia di persone sono esposte alla fame e a malattie come malaria, influenza e colera.

 

Durante questa nostra conferenza, segnata dall’insicurezza e dalla paura di attacchi, abbiamo potuto portare con noi degli aiuti di primo soccorso per circa 38 famiglie cristiane nel bisogno, tra cui 6 vedove di pastori uccisi dai ribelli Seleka. Abbiamo seguito e aiutato anche 23 pastori costretti alla fuga in Cameroon (alcuni hanno perso figli nelle violenze, altri si sono ammalati). In aprile 2013 la Chiesa evangelica dei Fratelli di Bangui era stata attaccata e 33 persone erano rimaste ferite: abbiamo fatto visita a queste persone offrendo loro copertura per le spese mediche. E’ un inizio. Le necessità sono molte. Stiamo lavorando alacremente per capire come aiutare la chiesa in questo paese nel 2014, poiché, come sapete, noi tutti siamo uno con loro.

 

notizie

ASIA/SRI LANKA – Aumentano gli attacchi contro i cristiani, nell’indifferenza del governo

7 dicembre 2013 PERSECUZIONE

sril-MMAP-mdColombo (Agenzia Fides) – Aumentano in Sri Lanka l’odio e la violenza contro le minoranze religiose, che sono il 30% della popolazione complessiva: è il preoccupante trend segnalato da Chiese e associazioni della società civile nel paese. In particolare, nei primi 10 mesi del 2013 gli episodi di violenza contro i cristiani da frange buddiste violente sono stati 65, afferma, in una nota inviata a Fides, l’Alleanza Nazionale Cristiana Evangelica dello Sri Lanka. La tendenza è confermata da Navi Pillay, Alto Commissario Onu per i diritti umani, che, dopo un recente viaggio in Sri Lanka, ha notato “la crescita dell’intolleranza religiosa e l’assenza di un’azione rapida contro i responsabili”. In tale contesto, i cristiani sono un obiettivo sempre più chiaro ed esplicito della violenza religiosa.

Con una popolazione al 70% buddista, per il 12% indù, il 10% musulmana e il 7,5% cristiana, lo Sri Lanka si è spesso presentato come un paese multireligioso e tollerante. Il governo spesso mette in evidenza il fatto che, in molte città, chiese, moschee e templi sorgono l’uno accanto all’altro, senza problemi. Gli ultimi anni hanno però visto un picco degli episodi di aggressioni e violenze per motivi puramente religiosi. Secondo un rapporto inviato a Fides dalla “National Christian Evangelical Alliance of Sri Lanka” (NCEASL) nel 2012, ci sono stati 52 episodi di violenza contro i cristiani, con un aumento del 100 % rispetto al 2011. Il numero dei casi ha continuato ad aumentare: nel periodo gennaio-ottobre 2013, sono già 65 episodi di violenza anticristiana censiti. In particolare nel mese di ottobre, si sono verificati sette incidenti come: chiusura forzata di chiese; atti di vandalismo e incendi dolosi conto le case dei Pastori cristiani; minacce e percosse a leader cristiani.

Gli attacchi – spiega il Rapporto – sono spesso perpetrati da monaci buddisti singalesi che intendono “preservare la tradizione culturale buddista dello Sri Lanka” e non esitano a usare la violenza per garantire quella tradizione. Folle di fedeli buddisti che hanno attaccato i cristiani e le altre minoranze religiose sono spesso guidati dai monaci buddisti che definiscono il cristianesimo “estraneo allo Sri Lanka”.

Tra le questioni più inquietanti, di fronte a questo aumento di intolleranza religiosa, vi è l’indifferenza del governo dello Sri Lanka che nulla fa per proteggere i cristiani. La maggior parte degli attacchi contro i cristiani – afferma l’Alleanza – avvengono impunemente. (PA) (Agenzia Fides 6/12/2013)

 

notizie

South Sulawesi: islamisti e autorità locali abbattono una chiesa protestante

7 dicembre 2013 PERSECUZIONE

INDONESIA_-_islam_e_imb_chiesedi Mathias Hariyadi

I vertici del distretto di Pangkep hanno imposto la distruzione dell’unico luogo di culto utilizzato dalla “comunità Gkss”. Per gli estremisti l’edificio non aveva i permessi necessari. I fedeli parlano di operazione “insensata”, in violazione alla libertà religiosa. Attivista cristiano accusa il presidente e le istituzioni, incapaci di tutelare le minoranze.

 

Jakarta (AsiaNews) – Le autorità del distretto di Pangkep, nella provincia indonesiana delle South Sulawesi, hanno demolito il luogo di culto della comunità cristiana protestante Gkss. Le operazioni di abbattimento si sono svolte nelle prime ore del mattino; il 28 novembre scorso l’amministrazione locale aveva inviato una lettera di “avviso”, in cui ordinava la fine delle attività di culto, perché l’edificio sarebbe stato chiuso a breve termine. I fedeli hanno reagito con un misto di costernazione e disappunto, bollando come “insensata” la scelta delle autorità. Anche perché di recente la comunità cristiana Gkss (Chiesa cristiana protestante delle Sulawesi del sud, ndr) si era rivolta in via ufficiale ai vertici dell’amministrazione di Pangkep, chiedendo l’autorizzazione per procedere ai lavori di ristrutturazione del tetto della “chiesa”.

 

Dietro la demolizione, vi sarebbe la mancanza del permesso di costruzione (il famigerato Imb, Izin Mendirikan Bangunan), un documento necessario in Indonesia per costruire un edificio. La faccenda si complica quando si tratta di un luogo di culto cristiano – cattolico o protestante – perché serve anche il consenso esplicito della popolazione residente musulmana, che vive nell’area in cui sorge il luogo di culto. E spesso, oggi come in passato, il documento legale si è rivelato un pretesto per bloccare progetti o abbattere edifici preesistenti.

 

Zakaria Ngelow, professore di storia e membro del Sinodo delle chiese protestanti (Pgi), giudica la demolizione come un atto di “barbarie”, anche perché era il solo luogo di culto cristiano nel distretto di Pangkep. La comunità locale ha cercato in tutti i modi di ottemperare ai dispositivi di legge, aggiunge lo studioso, ma “sinora gli sforzi non hanno registrato progressi significativi, a causa dell’opposizione mostrata dai locali”.

 

La comunità protestante è presente sul territorio dai primi anni ’60. Nel 1985 viene creato un primo luogo di culto semi-permanente all’interno di una scuola; nel 1989 esso diventa una casa di preghiera vera e propria, grazie a un’autorizzazione “verbale” del capo distrettuale di Pangkep. Nel 2011 emergono le prime controversie, che divampano in tutta la loro portata nel mese di agosto: il Forum islamico lancia una massiccia campagna di protesta, accusando la Gkss di aver trasformato il centro in una chiesa a tutti gli effetti, violando le norme di legge. Il gruppo estremista ha usato come pretesto per l’attacco, la richiesta avanzata dai cristiani di ristrutturare l’edificio sistemando anche il tetto.

 

Per gli islamisti – fra i quali vi sono anche rappresentanti del Fronte di difesa islamico (Fpi) – vi sarebbe stato un cambio di utilizzo e l’edificazione di un vero e proprio luogo di culto, per il quale è necessario l’Imb e il consenso scritto dei musulmani. Di contro, per il Gkss l’autorizzazione non era necessaria, perché non si trattava – in questo caso – della costruzione di un nuovo edificio, ma di una semplice sistemazione del tetto. I lavori hanno preso il via a fine novembre e, da progetto, prevedevano l’innalzamento di cinque metri della copertura; tuttavia, in poco tempo è arrivato l’ordine di chiusura delle autorità che, questa mattina, si è concretizzato nell’abbattimento dell’edificio.

 

In una nota ufficiale inviata ad AsiaNews Woro Wahyuningtyas, leader di Christian Ngo’s Network Indonesia, condanna la demolizione imposta dalle autorità, che hanno mostrato “tolleranza zero” verso la minoranza religiosa locale. Tutti gli sforzi profusi dai vertici di Gkss per essere in regola, aggiunge, sono risultati vani e non sono nemmeno stati presi in considerazione dalle autorità di Pangkep. La vicenda, conclude, è una ulteriore dimostrazione della violenza e degli abusi compiuti verso i gruppi religiosi, un dato in continua crescita “senza alcun intervento da parte del presidente [Susilo Bambang] Yudhoyono e dei vertici di governo”.

 

L’Indonesia è la nazione musulmana più popolosa al mondo (l’86% professa l’islam) e, pur garantendo fra i principi costituzionali le libertà personali di base (fra cui il culto), diventa sempre più teatro di violenze e abusi contro le minoranze. I cristiani sono il 5,7% della popolazione, i cattolici poco più del 3%, l’1,8% è indù e il 3,4% professa un’altra religione.. Nella provincia di Aceh – unica nell’Arcipelago – vige la legge islamica e in molte altre aree si fa sempre più radicale ed estrema l’influenza della religione musulmana nella vita dei cittadini.

 

Centrafica

Repubblica Centrafricana: Siamo al vostro fianco!

8 dicembre 2013 NOTIZIE DAL MONDO EVANGELICO

downloadUn anno di conflitti e violenze si tramuta in uno stato di caos ed emergenza. I cristiani sono particolarmente bersagliati dai ribelli Seleka. In una conferenza organizzata da Porte Aperte mettiamo insieme vari leader nazionali e regionali. Esserci sarà il focus del 2014.

 

Sin dall’inizio dell’anno le comunità cristiane della Repubblica Centrafricana hanno dovuto affrontare intense sofferenze. Nel dicembre 2012 i ribelli musulmani Seleka cominciarono a conquistare ampie aree del centro e del nordest del paese, per poi, il 24 marzo 2013, prendere possesso della capitale Bangui e costringere alla fuga il presidente Bozizé. Da quel momento in poi il paese ha iniziato un rapido declino verso l’anarchia: la coalizione dei Seleka si è frantumata in alcune fazioni, e signori della guerra e milizie varie hanno preso possesso di intere aree del paese. Violenze e atrocità sono state commesse contro l’intera popolazione, ma in particolar modo contro i cristiani.

 

Come sapete, Porte Aperte è un ministero di presenza, vogliamo, insieme a voi, essere presenti e stare al fianco dei fratelli perseguitati, perciò ad inizio ottobre la nostra missione ha organizzato nella capitale Bangui una conferenza che ha riunito 100 leader di chiese di tutte le denominazioni presenti, un’opportunità per responsabili nazionali e regionali di condividere quanto è successo (e sta succedendo) alle congregazioni cristiane durante questa terribile guerra. Secondo i partecipanti è stato un tempo di profonda riflessione, condivisione e preghiera insieme, in cui si sono considerate persino le aree in cui la chiesa è stata mancante in questo oscuro periodo di violenze. Si è firmata infine una dichiarazione congiunta sulla situazione della chiesa nella Repubblica Centrafricana, dichiarazione utilizzata a vari livelli nella diplomazia internazionale per attirare l’attenzione dei media, dell’ONU e degli stati membri.

 

Le violenze hanno creato una vera e propria emergenza umanitaria e la persistente insicurezza ha inevitabilmente intaccato le operazioni di soccorso. Il 27 novembre scorso le Nazioni Unite hanno preso atto dello stato di crisi della Repubblica Centrafricana e dichiarato che il paese corre il rischio di finire nel “caos più completo”. Ci sono almeno 400.000 rifugiati interni al paese, mentre 200.000 sono fuggiti nelle nazioni confinanti: migliaia e migliaia di persone sono esposte alla fame e a malattie come malaria, influenza e colera.

 

Durante questa nostra conferenza, segnata dall’insicurezza e dalla paura di attacchi, abbiamo potuto portare con noi degli aiuti di primo soccorso per circa 38 famiglie cristiane nel bisogno, tra cui 6 vedove di pastori uccisi dai ribelli Seleka. Abbiamo seguito e aiutato anche 23 pastori costretti alla fuga in Cameroon (alcuni hanno perso figli nelle violenze, altri si sono ammalati). In aprile 2013 la Chiesa evangelica dei Fratelli di Bangui era stata attaccata e 33 persone erano rimaste ferite: abbiamo fatto visita a queste persone offrendo loro copertura per le spese mediche. E’ un inizio. Le necessità sono molte. Stiamo lavorando alacremente per capire come aiutare la chiesa in questo paese nel 2014, poiché, come sapete, noi tutti siamo uno con loro.

 

Pakistan

Pakistan, Tribunale islamico: La pena per i blasfemi sarà solo la condanna a morte

8 dicembre 2013 PERSECUZIONE

PAKISTAN_-_blasfemia_e_protestedi Jibran Khan

La Corte federale della Sharia accoglie il ricorso di un avvocato: l’ergastolo non basta, è valida solo la pena capitale. Sotto i governo di Nawaz Sharif “periodi bui” per le minoranze. Attivisti e ong parlano di continua islamizzazione del Paese. Paul Bhatti: “Prioritario combattere la povertà; occupazione e investimenti per rilanciare lo sviluppo”.

 

Islamabad (AsiaNews) – Per i blasfemi non basta il carcere a vita, perché l’unica punizione ammissibile è la condanna a morte. È quanto ha stabilito la Corte federale della Sharia, cancellando l’ergastolo dalla sezione 295 C del Codice penale pakistano – assieme al comma 295 A e B forma le cosiddette “Leggi sulla blasfemia” – e mantenendo in vigore la sola pena capitale. Il giudice Fida Hussain ha emesso il verdetto, accogliendo il ricorso presentato dall’avvocato Hashmat Habib secondo cui una sentenza (in materia) del 1990 prevedeva la sola condanna a morte come punizione ammissibile. Una disposizione che, a detta del legale che ha presentato ricorso, finora non aveva trovato un’applicazione concreta nelle aule dei tribunali. Del resto nel Paese asiatico, che negli ultimi anni ha fatto registrare una progressiva islamizzazione, una incriminazione per blasfemia equivale di per sé a una sentenza di condanna in aula, oppure sfocia in omicidi extragiudiziali che restano il più delle volte impuniti.

 

Fonti di AsiaNews, dietro anonimato, sottolineano che “sotto la guida di Nawaz Sharif” – nel maggio 2013 eletto per la terza volta Primo Ministro, dopo due esperienze di governo negli anni ’90 – le minoranze hanno sempre vissuto “periodi bui”. “L’introduzione della pena di morte” è avvenuta durante “il suo primo mandato”, così come episodi gravi di violenze anti-cristiane. Attivisti pro diritti umani della Masihi Foundation chiedono ancora una volta il rispetto dei principi sanciti dal fondatore del moderno Pakistan, Ali Jinnah, fra i quali la parità di diritti per le minoranze religiose. “Il fenomeno della blasfemia – spiegano – assume una connotazione terribile quando si trasforma in attacco delle masse ai danni di una singola comunità”, come è avvenuto a Lahore nel marzo 2013, a Gojra nel 2009, e ancora a Shanti Nagar (1997) e Sangla Hill (2005).

 

La Chiesa cattolica e le denominazioni protestanti chiedono da anni l’abrogazione della “legge nera”. Introdotta nel 1986 dal dittatore Zia-ul-Haq per soddisfare le rivendicazioni della frangia islamista, essa puniva con il carcere a vita o la condanna a morte chi profana il Corano o dissacra il nome del Profeta Maometto. Nel 2009 AsiaNews ha promosso una campagna internazionale di sensibilizzazione; tuttavia, nessun partito politico o governo ha voluto mettere mano alla norma e quanti hanno proposto emendamenti – il governatore del Punjab Salman Taseer e il ministro cattolico delle Minoranze Shahbaz Bhatti – sono stati assassinati.

 

Secondo i dati raccolti dalla Commissione episcopale Giustizia e Pace del Pakistan (Ncjp), dal 1986 all’agosto 2009 almeno 964 persone sono state incriminate in base alla legge sulla blasfemia: fra queste 479 erano musulmani, 119 cristiani, 340 ahmadi, 14 indù e 10 di religione sconosciuta. Più di 40 gli omicidi extra-giudiziali (compiuti da singoli o folle inferocite) contro innocenti e i processi intentati contro disabili fisici e mentali, o minorenni; fra le tante, ricordiamo la vicenda di Rimsha Masih, sfuggita alle (false) accuse dopo una massiccia campagna di pressione su Islamabad.

 

Analisti ed esperti di politica pakistana sottolineano che la decisione del tribunale della sharia è una ulteriore dimostrazione della progressiva islamizzazione del Paese. Un dato confermato anche da Paul Bhatti, ex ministro federale per l’Armonia nazionale e fratello del “martire” Shahbaz, secondo cui le violenze “non risparmiano nessuno, comprese forze armate e politici musulmani”. Per questo, quale leader di Apma (All Pakistan Miniorities Alliance), egli promuove la nascita di un “consiglio supremo delle religioni”; esso dovrà essere formato da personalità sunnite, sciite, cristiane, sikh, indù che vengono scelte “in base a elezione, non secondo una nomina” e chiamato a regolare “vicende o controversie di natura religiosa, le fatwa e i casi di blasfemia”.

 

Il Paese attraversa un momento critico, racconta il politico e attivista cattolico, acuito da divisioni interne e interferenze esterne, come “l’attività di alcune ong che spesso non operano per il bene della popolazione, ma con secondi fini o per puro interesse personale”. Egli aggiunge che “le sofferenze dei cristiani o gli episodi di discriminazione” sono “direttamente proporzionali” alla stabilità politica ed economica. “Vi è stato un peggioramento generale – afferma – e di conseguenza è deteriorata anche la situazione” delle minoranze. Al Pakistan servono “pace, stabilità e giustizia sociale”, perché solo così sarà possibile “attirare investimenti esteri e creare posti di lavoro e opportunità di sviluppo”. “Per questo noi come Apma – conclude Paul Bhatti – vogliamo dar vita a piccoli progetti industriali mirati, che offrano possibilità di lavoro anche alle donne. Un tempo l’istruzione era la priorità, ma oggi è la povertà il vero problema”.