PERSECUZIONE IN ITALIA
di ROBERTO BRACCO
Introduzione
Capitolo 1 - L'Iddio nostro è potente a liberarci
Capitolo 2 - Tutte le cose cooperano al bene
Capitolo 3 - Sale di riunione
Capitolo 4 - Le autorità evangelizzate
Capitolo 5 - Il mio primo arresto
Capitolo 6 - Un culto all'aperto
Capitolo 7 - Carcere giudiziario
Introduzione
L’Italia è stata sempre un paese di violenta e qualche volta crudele intolleranza
religiosa. Attraverso i secoli migliaia e migliaia di cristiani hanno versato il loro sangue
generoso per la testimonianza dell’Evangelo e molte volte delle intere colonie di credenti
sono state passate per le armi per tentare di soffocare con la loro morte, la proclamazione
della verità.
Quando parlo dell’Italia, non intendo riferirmi al poderoso Impero romano che da
Nerone in poi ha organizzato e condotte le sue sanguinose persecuzioni contro i cristiani;
ma voglio parlare esclusivamente delle repressioni esercitate soprattutto, per influenza
del cattolicesimo ufficiale, dall’epoca dei primi Valdesi ai giorni nostri.
Questo nostro paese, così sensibile ai problemi religiosi, non ha purtroppo mai
goduto, di quella libertà conquistata da altri popoli e si è trascinato, attraverso i secoli, e si
trascina, anche nella nostra generazione sotto il peso delle catene strette intorno alla sua
vita dalla chiesa cattolica.
E’ logico quindi che anche il nostro movimento trovasse sin dal suo inizio,
ospitalità ostile ed opposizione organizzata. Anzi, posso aggiungere, ostilità più
accentuata di quella manifestata nei confronti di altri movimenti, che apparivano di minore
pericolosità rispetto alla chiesa cattolica. Nonostante questo stato di cose però le nostre
chiese non hanno sofferto una vera persecuzione per molti anni e questo soprattutto per
due ragioni. La prima ragione è costituita dal fatto che per molti anni l’opera ha vissuto in
fase di gestazione: le chiese erano poche ed i membri di queste non erano numerosi.
L’attività del movimento non era perciò eccessivamente visibile e notevolmente
preoccupante per gli avversari dell’evangelo. La seconda ragione è costituita dalla
condizione politica della nostra nazione anteriormente all’anno1929.
Lo Stato italiano viveva, a quell’epoca, in aperto ed ufficiale conflitto con la chiesa
cattolica, in conseguenza degli avvenimenti bellici del 1870 mai sanati e mai superati. Il
governo, di conseguenza, era svincolato da interferenze od influenze delle gerarchie
ecclesiastiche ed anzi non raramente era indotto ad agire in uno spirito liberale
apertamente in contrasto con i desideri della chiesa cattolica. Queste due ragioni però si
esaurirono spontaneamente negli anni immediatamente precedenti alla persecuzione; il
movimento, superato il periodo di gestazione, conobbe il suo rapido e rigoglioso sviluppo
numerico e spirituale, e la situazione politica subì una radicale trasformazione in
conseguenza della Conciliazione fra lo Stato e la chiesa e del trattato lateranense, che
della conciliazione fu la filiazione naturale.
Il movimento non poteva più passare inosservato ed in pari tempo il governo non
poteva più tollerarlo incondizionatamente, quando la nuova situazione politica gli
suggeriva di assecondare il più largamente possibile i desideri e gli scopi della chiesa
cattolica. Sin dal 1929 ci furono perciò le avvisaglie della incipiente persecuzione e se
questa non ebbe inizio in quell’anno, fu soltanto perché la macchina burocratica
governativa fu lenta a mettersi in movimento. Ci furono però casi isolati periferici
d’intolleranza violenta che segnarono il principio della battaglia. Il conflitto, nel senso
rigoroso di questo termine, scoppiò nell’anno 1935, perché fu al principio di quell’anno che
l’allora sottosegretario al Ministero degli Interni (il ministro era Mussolini stesso che amava
detenere cariche cumulative), dopo aver dichiarato nullo il decreto di nomina a ministro di
culto al pastore della nostra comunità di Roma, iniziò la sua energica azione repressiva.
Il nostro movimento non era stato mai ufficialmente riconosciuto dal Governo,
e di tutti i ministri di culto in attività, soltanto quello della chiesa di Roma aveva ottenuto un
decreto che gli riconosceva il diritto di esercitare il proprio ministero spirituale e di
presiedere riunioni di culto pubbliche. Egli però godeva il privilegio di concedere deleghe
ad altri ministri assumendosi la responsabilità della loro attività. Con il ritiro quindi
dell’unico decreto concesso, il Ministero contestava contemporaneamente il diritto al
pastore della comunità di Roma di esercitare il proprio mandato spirituale e a tutti coloro
che erano stati da lui delegati, la facoltà di tenere e presiedere riunioni di culto pubbliche.
Le autorità periferiche di pubblica sicurezza provvidero
immediatamente a diffidare i proprietari dei locali ove venivano tenute le riunioni ed i
conduttori delle comunità a non tenere ulteriori riunioni di culto. Quasi tutte le chiese
furono chiuse e rimasero soltanto aperte quelle poche che per alcune settimane ed alcuni
mesi sfuggirono all’osservazione delle autorità di pubblica sicurezza. Ma se i locali, adibiti
ufficialmente al culto pubblico, furono sollecitamente chiusi, le attività dei fedeli non
cessarono. Immediatamente e con quella prontezza che rappresenta una delle
meravigliose risorse dello Spirito, le comunità si organizzarono per iniziare la loro nuova
vita; la vita in clima di persecuzione.
L’organizzazione delle comunità non fu uniforme perché ognuna di queste cercò
l’adattamento in rapporto alle particolari circostanze dell’ambiente. Nelle città, per
esempio, fu facile da principio tenere riunioni di culto private nelle case di abitazione
suddividendosi in diversi gruppi nelle varie zone della città stessa. Nel piccoli comuni
invece, dove questa organizzazione non poteva passare inosservata, si cercò piuttosto di
approfittare del favore delle campagne lontane dall’abitato, oppure dell’opportunità offerta
dalle lunghe nottate di paese; e cosi le riunioni o venivano tenute in luoghi lontani e
nascosti o venivano tenute sommessamente nel colmo della notte.
Questo stato di cose non poteva durare, perché gli stessi, che avevano chiesto la
repressione del movimento, si fecero premura di informare le autorità relativamente alla
continuazione della nostra attività. Dal Ministero degli Interni partirono allora varie
energiche circolari riservate, dirette ai prefetti ed ai questori, con le più precise e
dettagliate istruzioni circa i provvedimenti da adottarsi nei confronti del movimento e dei
fedeli, nell’eventualità che si fosse riscontrato lo svolgimento di qualsiasi attività. Una fra
queste circolari, affrontava in maniera particolare e risolutiva la questione aperta. Mi
riferisco alla ormai famosissima circolare n. 600/159 del 9 aprile 1935 firmata da Buffarini-
Guidi, che ordinava lo scioglimento e la repressione di tutte le comunità e di qualsiasi
attività del nostro movimento giustificando il provvedimento con la necessità di
salvaguardare l’integrità fisica e psichica della razza. Il regime fascista, non bisogna
dimenticare, propugnava la diabolica filosofia del super-uomo e quindi quella conseguente
della discriminazione razziale. La difesa dell’integrità della razza rappresentava perciò un
fenomeno politico d’importanza vitale nella vita della nazione e gli attentati all’integrità
della razza assumevano l’aspetto giuridico del delitto politico. Il movimento pentecostale
venne perciò a trovarsi nel campo delle attività politiche condannate dal regime e, cosa
peggiore, venne additato come un movimento generatore di minorati fisici e psichici, cioè
generatore di ammalati e pazzi. Non è difficile comprendere da quale parte sia partito
l’attacco come non è difficile individuare il motivo che ha ispirata quest’accusa piuttosto
che un altra.
Ogni cosa è stata organizzata con crudeltà e con astuzia malefica. Anche l’opinione
pubblica fu abilmente manovrata a beneficio della persecuzione. Una prolungata
campagna giornalistica svolta dalla stampa totalmente asservita al governo, provvide a
coprire di obbrobrio e di ridicolo tutte le nostre comunità: le menzogne più spudorate, le
insinuazioni più audaci furono diabolicamente sfruttate per raggiungere questo scopo.
Questo immenso campo di battaglia in perfetto assetto di guerra non poteva
rimanere inerte; i colpi partirono ben presto e coprirono il fronte di fragore assordante:
venne la persecuzione.
Arresti dopo arresti; esilio, prigione, processi, rimpatri, minacce, percosse... Ormai
questi colpi non potevano più essere individuati in ordine distinto, perché un fragore solo
formato di cento, mille colpi coinvolse il movimento in una lotta di dimensioni generali.
Trascorsero così lentamente gli otto anni di lagrime e di sangue, che furono però anche
anni di benedizioni e di potenza. In questi anni i figliuoli di Dio conobbero le esperienze più
vive del cristianesimo. Non soltanto le esperienze dolorose, e pur necessarie, della
prigionia, della separazione, della distretta, del pericolo costante ed assillante, ma anche
quelle luminose e liete delle liberazioni, delle benedizioni ineffabili, del miracolo.
Questi otto anni possono essere ricostruiti giorno per giorno, perché anche oggi,
che ci appaiono in distanza, ci appaiono nei particolari più vivi. Come dimenticare i lenti e
furtivi esodi verso le campagne lontane per raccogliersi assieme, col favore della notte,
lontani dagli occhi indiscreti? E come dimenticare le riunioni di culto solenni e trepidanti,
tenute nel cuore delle caverne o delle grotte? Come dimenticare le ripetute partenze,
piene di commozione e di pianto che esiliavano i fratelli, lontani dalle comunità? Come
dimenticare i molteplici processi che ci accomunavano sui banchi degli imputati, ai ladri,
alle prostitute, ai mendicanti? Come dimenticare le celle delle prigioni o delle camere di
sicurezza ove trascorremmo giorni di sofferenza, ma anche di letizia cristiana? Come
dimenticare gli innumerevoli arresti pieni di circostanze emozionanti e di episodi
drammatici? No, queste cose sono vive nel ricordo di tutti coloro che le hanno vissute; ma
non rappresentano però un ricordo opprimente o spaventoso, anzi un dolce ricordo
soffuso di lievi sfumature nostalgiche che parla di lotte, ma anche di vittorie; di dolori ma
anche di benedizioni, soprattutto che parla di una vita cristiana intensamente vissuta;
vissuta fino al sacrificio, fino alla rinuncia, fino al dolore, con tutto lo slancio di cuori
realmente traboccanti dell’amore di Cristo. Molti cristiani invocano oggi i giorni della
persecuzione, perché ricordano chiaramente che il fuoco della lotta era anche il fuoco
della santificazione, il fuoco della fedeltà. E’ audace affermare che la persecuzione
rappresenta salute spirituale, ma è altresì audace sostenere che essa costituisca un
danno alla chiesa cristiana ed è più logico accettare il principio che tutto quello che Iddio
prepara nella vita del suo popolo è per il bene e per la prosperità. Perciò oggi, che un
clima di parziale tolleranza(*) ha allontanato la lotta quotidiana della persecuzione, noi non
invochiamo una nuova persecuzione, come non spasimiamo per una assoluta libertà, ma
invochiamo ed aspettiamo l’adempimento del piano che Iddio, l’Iddio di ogni sapienza, ha
preparato per noi.
(*) Il libro è stato scritto 40 anni fa circa.
L'Iddio nostro, al quale serviamo
è potente a liberarci.
... l'Iddio nostro, al quale serviamo è potente a liberarci... (Daniele 3:17).
La frase dei tre fratelli ebrei è stata, durante il periodo della persecuzione, il motto
ed anche la regola spirituale delle comunità d'Italia.
Ogni chiesa ed ogni fedele hanno compiuto il proprio cammino con la
convinzione profonda che Iddio era potente da manifestare aiuto e liberazione in ogni
prova. Quindi le prove, i dolori, le persecuzioni non rappresentavano, per i cristiani, un
segno della debolezza od impotenza di Dio, ma soltanto una manifestazione dei suoi piani
e della sua volontà.
Sempre, infatti, di fronte ai feroci assalitori i cristiani hanno ripetuta la testimonianza
di Sadrac e dei suoi compagni: "L'Iddio che serviamo è potente da liberarci."
Quante volte abbiamo visto davanti a noi funzionari schiumanti di rabbia, quasi folli
d'ira, che, sembrava, volessero stritolarci, annientarci! Quante volte ci siamo sentiti gridare
in faccia le loro terribili minacce; quante volte cioè si è presentato agli occhi nostri lo
spettacolo di una potenza umana, di una potenza infernale che sembrava schiacciarci!...
Ci siamo sgomentati o abbiamo riconosciuta la grandezza di questa diabolica potenza?
No! Abbiamo continuato a ripetere, di fronte ai persecutori, ma soprattutto nell'intimo del
nostro cuore: "Iddio è potente a liberarci!"
Questa convinzione e questa testimonianza non sono state però mai indipendenti
dalla convinzione espressa nella seconda frase dei tre compagni ebrei: "Se Iddio non ci
libera, noi faremo ugualmente la Sua volontà."
Egli è potente a liberarci, ma se, per l'adempimento dei suoi piani gloriosi ed eterni,
ritiene più opportuno lasciarci nel fuoco della persecuzione, noi continueremo ugualmente
ad onorare e glorificare il Suo nome con fede e dedizione.
In questi termini la nostra testimonianza risultava completa e la nostra convinzione
sana e perfetta. Ci liberi o non ci liberi, avanti; avanti con il Signore. E tutti insieme
ripetendoci queste dolci e potenti parole, abbiamo proseguito il nostro cammino.
L'Iddio fedele molte e molte volte ci ha mostrato e dimostrato che era potente da
compiere liberazioni miracolose in nostro favore e queste ripetute dimostrazioni furono
sufficienti in quei giorni per ricordarci che quando Egli non ci liberava doveva adempiere,
nella nostra sofferenza, un piano per la sua gloria e per la nostra edificazione.
Personalmente ebbi modo di esperimentare ripetutamente l'intervento miracoloso di
Dio e di constatare perciò che tutto si svolgeva secondo i piani intelligenti che il Signore
doveva portare ad esecuzione. Fra le tante liberazioni ne ricordo una realizzata lontano
dalla mia città. Fui invitato a Terni, dove era sorta una piccola comunità piena di fervore e
di entusiasmo cristiano. Accettai l'invito e mi recai in quella cittadina assieme ad una
sorella della comunità. Non appena giunti, ci recammo presso una famiglia di fedeli che
era in attesa del nostro arrivo e lì iniziammo una conversazione cristiana. Eravamo là
soltanto da poco tempo, forse 30 minuti, quando giunse un giovane fratello tutto trafelato
ad avvertirci che un notevole numero di agenti di pubblica sicurezza avevano invaso
diverse abitazioni di fedeli e dovunque domandavano di me. Mi ricercavano attivamente
per arrestarmi. Da chi erano stati informati del mio arrivo non ho potuto mai saperlo, ma
una cosa seppi in quella occasione e Cioè che ero ricercato.
Senza indugio lasciai quella casa e mi misi in giro per la città unitamente alla sorella
che mi aveva accompagnato. Peregrinammo lungamente aspettando fiduciosamente gli
eventi, ma la trepidazione ci riscaldava il cuore; eravamo giustamente in ansia per i fedeli
presso i quali la polizia mi ricercava.
Camminando in tutte le direzioni, cercai di stringere iI cerchio dei miei passi verso la
casa della famiglia che rappresentava il centro della comunità del luogo. Giunsi nei pressi
di quella casa e cercai di osservare da lontano quello che stava avvenendo. Non riuscii a
notare nulla e perciò mi decisi, avanzando cautamente, di approssimarmi alla casa. La
zona era quasi deserta ed io con apparente noncuranza ed indifferenza presi a camminare
verso il portoncino
Giunsi davanti all'ingresso: nulla! Tutto silenzio Non sapevo se entrare o
allontanarmi; all'improvviso presi la decisione di accostarmi alla finestra che era a fianco
del portone, alla distanza forse di un metro per cercare di osservare, attraverso le imposte
chiuse quello che avveniva nell'interno. Con la massima cautela mi avvicinai e cercai di
guardare nell'interno. Le imposte erano molto serrate ed il mio sguardo non riusciva a
penetrare attraverso le fessure , ero intensamente concentrato nel mio intento, quando
improvvisamente mi trovai circondato da un folto gruppo di guardie. Erano venti? Erano
trenta? Non potrei dirlo ma ricordo chiaramente che erano moltissime. Mi erano giunte alle
spalle senza che me ne accorgessi; perché ero profondamente intento a superare
l'ostacolo delle imposte per poter vedere quello che va nell'interno della casa.Mi voltai: le
guardie erano intorno a me; eravamo assolutamente soli in quella zona. Non mi
scoraggiai, anzi presi a camminare; attraversai il cerchio guardie; mi allontanai, mi persi
nuovamente nella città lontano da loro e dalla loro rabbia.
Che cosa era avvenuto? Non so; ma io credo che le guardie mi abbiano guardato
senza vedermi; mi abbiano circondato senza accorgersi che io mi allontanavo indisturbato
attraversando le loro file. Si, l'Iddio nostro è potente da liberarci; da liberarci
individualmente, come ha fatto tante e tante volte verso di me e verso tutti i fedeli durante
la persecuzione; ed anche da liberarci collettivamente, quando con questi mezzi intendeva
glorificare il Suo nome. Quante volte la polizia credeva di averci nel pugno mentre noi gli
uscivamo dalle dita in maniera miracolosa! Quante volte era costretta a consumarsi di
rabbia a causa dei metodi meravigliosi che Iddio usava per nasconderci agli occhi di
quanti ci combattevano!
Ricordo, fra le molte memorie, una liberazione potente quanto graziosa.Si teneva
una riunione di culto a notte avanzata nel fondo di una campagna posta nell'estrema
periferia della città. I fedeli conoscevano il luogo, perchè era stato usato molte volte per lo
stesso scopo e quindi si trovarono raccolti per l'ora stabilita.
Il buio di una notte senza luna circondava i fedeli di una densa cortina. Iniziarono gli
inni sommessi...
All'improvviso, cosa strana, due, tre, cinque, otto piccole luci si accesero in mezzo
al gruppo. Erano fuochi di sigarette. I fedeli compresero che diversi inconvertiti si
trovavano in quel medesimo luogo, ma non furono colti da preoccupazione; la riunione
continuò regolarmente. Dopo gli inni, la preghiera; dopo la preghiera, ancora un inno; poi
le testimonianze, la predicazione, un inno, una seconda preghiera, ed infine la riunione si
chiuse.
Tutti presero la via del ritorno e in ordine sparpagliato raggiunsero nuovamente la
città per avviarsi alle proprie abitazioni.
Una settimana dopo venimmo a sapere, in maniera veramente miracolosa, che un
gruppo di guardie, inviate espressamente per arrestare i fedeli, erano state presenti alla
riunione senza poter eseguire l'ordine ricevuto.
Esse avevano vagato lungamente per le campagne e finalmente, guidate anche
dalla voce, che, benché lieve veniva portata dal silenzio della notte, erano giunte in mezzo
al gruppo. Prima di procedere all'operazione di polizia avevano voluto ascoltare: i cantici li
commossero, le testimonianze e le preghiere suscitarono un sentimento di riverenza nei
loro cuori, poi giunse la predicazione che li compunse. Iddio li vinse ed essi si ritrovarono
assieme alla fine della riunione decisi di tornare ai superiori solo per annunciare che
l'operazione era stata infruttuosa.
Si, l'Iddio nostro è potente da liberarci!
La certezza in questa potenza era il nostro conforto quando la liberazione tardava o
non veniva. Dicevamo tutti nell'intimo del nostro cuore: “Iddio potrebbe liberarci; se non ci
libera, è soltanto perché ha un piano glorioso da adempiere, oppure perché vuole provare
la nostra fedeltà verso il Suo nome”. Questo pensiero intimo ma solido ci dava forza per
ripetere di fronte agli assalitori: “Anche se il Signore non ci libera, noi continueremo a fare
fermamente la Sua volontà”.
E Iddio veramente permise, in quell'epoca, delle prove che, considerate oggi,
appaiono ben dure. Dico: “considerate oggi” perché ieri, mentre le attraversavamo, ci
sembravano cose normali e quasi di poca importanza: la virtù della grazia di Dio ci
fortificava per sostenere e superare ogni cosa con facilità.
Ma oggi, volgendo lo sguardo indietro, possiamo vedere la profondità della prova e
possiamo rendere lode a Dio che ci ha aiutati per affrontarla vittoriosamente nel Suo
nome.
Intere famiglie sono vissute smembrate per anni ed anni; decine e centinaia di
fratelli si sono consumati nell'esilio o nelle prigioni. Posizioni sociali rovinate, salute
distrutta, affetti calpestati: queste sono state le conseguenze della persecuzione, quando
Iddio, per glorificare il Suo nome e per adempiere i Suoi piani meravigliosi, non ha voluto
manifestare una liberazione dalla prova.
Oggi possiamo riconoscere che tutto fu per il nostro bene e che Iddio ha sempre
agito con sapienza infinita; ieri ci bastava sapere che Egli era potente da liberarci per
aver coraggio di servirLo anche se Egli non ci liberava.
Qualche volta la prova era prolungata, spinta fino al martirio, ma anche in quella i
figliuoli di Dio sapevano ripetere: “Se non ci libera, Lo serviremo ugualmente”.
Ricordo di un caro fratello della nostra comunità a nome I.. Egli accettò il Signore
nel periodo della persecuzione. Tutti coloro che facevano una decisione per Cristo, in
quell'epoca, erano pronti e risoluti per affrontare le lotte ed i combattimenti. Anche questo
fratello, pieno di zelo e di entusiasmo cristiano, era pronto a soffrire per il Maestro.
Veramente la sofferenza non si fece attendere fu arrestato e subito rimpatriato
assieme alla sua famigliuola. Egli aveva, nella nostra città, una discreta posizione
lavorativa, ma gli furono tolti lavoro, casa, residenza e fu mandato al suo paese nativo ove
era sprovvisto di ogni cosa; quindi fu ridotto alla miseria.
Questo fratello non si scoraggiò, anzi subito incominciò ad evangelizzare Cristo ai
suoi paesani. Egli accettò quella prova come adempimento del piano divino che voleva la
salvezza delle anime del suo paese. In poco tempo il Signore raccolse nel Suo ovile un
discreto numero di pecore erranti: una piccola comunità sorse in quella sperduta località
montana.
Quest'opera suscitò la reazione violenta delle autorità politiche del luogo. Queste
tramarono una congiura infernale contro il fedele servitore di Dio e lo fecero arrestare. Fu
fatto comparire, sotto accuse maligne, davanti al terribile tribunale fascista per la difesa del
regime e lì, senza potersi difendere, fu condannato a cinque anni di prigione. Un'amnistia
ridusse la prigione a tre anni e quindi per tre anni il fedele fratello fu rinchiuso in una orrida
e malsana prigione delle Marche, ove, fra l'altro, fu sottoposto alle angherie del cappellano
carcerario, che in Italia rappresenta una terribile autorità nel seno delle prigioni.
Nella prigione egli contrasse una grave malattia che in quell'ambiente favorevole
ebbe possibilità di svilupparsi progressivamente.
Giunse il giorno della liberazione; questo fratello fece ritorno alla sua famiglia, al
suo paese e, naturalmente, fece anche ritorno a coloro che avevano accettato Cristo per
Ia sua testimonianza. Egli riprese insomma la sua attività cristiana ripetendo con Paolo: «
... Io non fo conto di nulla e la mia propria vita non mi è cara ».
Ma la sua attività fu interrotta violentemente ancora una volta: arrestato ed esiliato,
si trovò nuovamente lontano dai suoi, dal suo lavoro. Fu assegnato ad una colonia
confinaria e sottoposto a lavoro forzato. Per altri tre anni il suo fisico continuò a logorarsi
nella malattia e nelle privazioni.
Quando fece ritorno al suo paese, era ormai l’ ombra di se stesso; ma se la sua
carne era consumata, il suo spirito era ancora più ardente per il servizio del Maestro
Portò di nuovo l'entusiasmo del suo esempio alla piccola comunità, infiammando i
fratelli con la benedizione del suo ministerio.
Fu arrestato di nuovo e letteralmente gettato a marcire in una prigione; senza
processo, senza accuse lo lasciarono languire in una cella orrida... Giorni e giorni
trascorsero sopra di lui, mentre la malattia lo consumava e lo faceva soffrire. Un giorno gli
aguzzini si accorsero che in quel povero corpo la vita stava per spegnersi: lo liberarono. Il
loro non fu un atto di amore o di pietà ma soltanto azione di calcolo. Preferirono non
assumersi la responsabilità della sua morte.
I familiari si recarono a ritirarlo; fu portato in casa, adagiato in un letto. Non c'era più
vigore in quel corpo distrutto, ma lo spirito era potenza per la gloria di Dio ed infatti dopo
pochi giorni, continuando a lodare costantemente il Signore, questo caro fratello partì da
questa terra per andare con Colui che aveva amato più della sua vita.
Anche se non ci libera...
In un paesetto a poca distanza dalla nostra città era sorta una piccola comunità
molto zelante ma molto perseguitata. Andavamo frequentemente a visitarla ed ogni volta
era necessario raggiungere i fedeli arrestati dalla polizia o malmenati ferocemente dalla
popolazione. Un giorno le autorità locali, in seguito ad ordini superiori, arrestarono un
fratello della piccola comunità assieme alla sua figliuola e li menarono, ambedue, nelle
prigioni della nostra città. Questo fratello non era giovanissimo ed era sofferente di cuore,
la sua figliuola era una giovane fanciulla di circa venti anni.
Furono trattenuti lungamente in prigione e lì, privo dell'aria necessaria e delle
necessarie cure, questo fratello ebbe un aggravamento del suo male. Nessuna
misericordia fu usata nei suoi confronti, anzi, condannato all’esilio, fu inviato in un paesetto
lontano e inaccessibile, mentre la figliuola, condannata alla medesima pena, fu inviata in
altra località separata. La polizia volle privare un malato dell'assistenza della figliuola ed
una fanciulla della protezione del padre.
Essi non si scoraggiarono e, benché la lontananza reciproca, la lontananza dalla
famiglia, la malattia rappresentassero una dura prova, continuarono a realizzare nel loro
cuore che Iddio era potente da liberarli e che quindi se non li liberava voleva glorificare in
modo diverso il Suo nome.
La giovanissima sorella si trovò sola, in un mondo ostile, lontana dai suoi, separata
da suo padre. Le benedizioni di Dio rappresentavano il conforto della sua vita e la
presenza di Gesù la sua dolce compagnia; mentre la preghiera era l’unico mezzo che le
permetteva di sentirsi anche vicino ai suoi, presentandoli al trono della grazia divina.
Una sera, come di consueto, sola nella sua camera, si coricò: sognò un dolce ma
duro sogno.
Si vedeva assieme a suo padre e uniti percorrevano un lungo sentiero; la
compagnia desiderata era dolce e piacevole, ma, ad un tratto, suo padre la lascia e
prende una nuova strada ed ecco che ella si accorge che il terreno sotto i suoi passi è
difficoltoso, mentre quello sul quale cammina suo padre è piano. La sua strada appare
piena di sassi e fiancheggiata di spine, quella invece del suo caro genitore livellata e
fiancheggiata di fiori.
Suo padre si allontana sempre più rapidamente da lei e per quel piacevole sentiero
sale, sale, sale sempre più in alto.
Ella lo chiama e quasi lo supplica di tornare indietro per unirsi a lei che non vuol
rimanere sola, ma suo padre continua a salire e ad allontanarsi…
La cara sorellina si sveglia perplessa. Non sa se accettare quel sogno come un
messaggio divino; ma ben presto ogni dubbio viene superato dalla realtà; ed ella riceve la
ferale notizia che suo padre ha lasciato questo mondo pieno di spine e difficoltà per salire
la strada della gloria verso il cielo.
Lontano dalla figliuola, lontano dalla famiglia, il caro fratello ha continuato il
combattimento della fede ripetendo fino alla fine: “Egli è potente da liberarmi, ma anche se
non mi libera, io glorificherò il Suo nome”.
Oggi che gli anni hanno allontanato questi episodi traboccanti di eroismo spirituale,
noi possiamo riconoscere meglio l'aiuto onnipotente di Dio, che non si è manifestato
sempre mediante la liberazione, ma che è stato in ogni circostanza efficace per sorreggere
i combattenti nel cimento e nella prova.
Or noi sappiamo che tutte le
cose cooperano al bene
Tutte le cose cooperano al bene...
Noi cristiani accettiamo incondizionatamente il principio che la Bibbia, cioè la
Parola di Dio, è verità.
Questa fiducia viene esternata nelle nostre testimonianze, viene codificata dai
nostri articoli di fede, viene sostenuta nelle nostre polemiche. Si, noi crediamo che la
Bibbia è verità.
Quando però le Scritture affermano le particolari verità proclamate da Dio, noi,
proprio noi cristiani, cominciamo a vacillare. Cioè siamo forse disposti e pronti ad
accettare e credere a determinate verità ma non siamo altrettanto pronti a credere ad altre
verità. Forse ci apriamo per credere a quelle verità, teoriche o pratiche, che sono
congiunte alla consolazione, alla gioia, alla benedizione, ma non siamo disposti ad
accettare quelle verità che ci parlano di dolore, di sofferenza, di prova.
L'affermazione dell'apostolo Paolo nell'epistola ai Romani fa parte di quest'ultima
specie.
Tutte le cose cooperano al bene...
E' facile credere a questa dichiarazione quando il nostro sentiero è cosparso di
petali profumati, ma, purtroppo, non è altrettanto facile credere quando davanti a noi si
presentano circostanze minacciose: persecuzioni, dolori.
La verità però rimane sempre verità, indipendentemente dall'attitudine che noi
assumiamo di fronte ad essa, e noi possiamo goderne il beneficio ineffabile nella misura
che l'accettiamo umilmente nella nostra vita.
Molti, oggi, non credono alla Bibbia ed anzi la combattono accanitamente, ma non
per questo la Bibbia cessa di essere verità; l'unico risultato dei nemici di essa è quello di
perdere le benedizioni che la Bibbia offre a tutti gli uomini.
Sentiamo ripetere spesso: “Io non credo all'inferno...”, o “Io non credo al Paradiso”.
Ma queste parole non distruggono l'inferno ed il Paradiso e servono soltanto a far perdere
il timore dell'inferno e la speranza del cielo a coloro che le pronunciano cinicamente.
I fratelli perseguitati d'Italia hanno conseguito abbondanti benedizioni, perché
hanno saputo credere che tutte le cose cooperano al bene di coloro che amano Iddio.
Se noi guardiamo alla prova, al dolore, alla persecuzione, come se questi fossero
nemici spietati della nostra vita, noi non possiamo conquistare il bene che è connesso a
queste cose; ma se noi sapremo affrontare queste circostanze, come necessità benefiche,
preparate o permesse da Dio, noi raccoglieremo certamente i pacifici frutti di giustizia
generati dal dolore.
La fede dei cristiani non è stata una fede vacillante, perché la persuasione di
andare incontro alle benedizioni ha reso ogni prova rosea ed ogni cimento leggero.
Non sempre durante il periodo della persecuzione abbiamo potuto afferrare il
significato delle prove; molte volte non ci è stato possibile scorgere il bene contenuto nei
dolori sofferti, ma non per questo, fede e persuasione sono crollate, perché sapevamo che
il bene promesso da Dio può apparire molto tempo dopo o può rimanere nascosto agli
occhi nostri. Forse noi non riusciamo a vedere il risultato benefico delle circostanze
dolorose della nostra vita cristiana ed il Signore ripete a noi come a Pietro: “Tu non sai ora
quello che Io faccio, ma lo saprai in seguito”.
Non riusciamo a vedere, ripeto, il risultato voluto da Dio, ma non per questo non si
manifesta, e noi, quando un giorno appariremo nel cospetto di Dio, potremo conoscere il
perché ed il significato di ogni cosa ed allora, di fronte ai secoli, innalzeremo il nostro
salmo di lode, ripetendo lassù che veramente tutte le cose cooperarono al nostro bene, in
armonia con i piani divini.
Ho detto che non sempre, durante la persecuzione, abbiamo potuto scorgere subito
o chiaramente la benedizione conseguente alle prove ma è necessario aggiungere che
molte e molte volte il piano prezioso e benefico del Signore è apparso così chiaramente e
così sollecitamente da infondere nei nostri cuori il più vivo degli incoraggiamenti.
Abbiamo visto che molte prove non avevano altro scopo che quello di farci portare
la testimonianza e la predicazione dell'Evangelo in luoghi o a persone che non potevano
essere raggiunte diversamente. Molti e molti luoghi di confino, ove furono esiliati i fedeli,
furono raggiunti dalla predicazione della verità ed oggi ci sono diverse comunità nate per
quelle testimonianze che parlano del piano benefico di Dio.
Autorità, magistrati, agenti di pubblica sicurezza furono evangelizzati
esclusivamente perché gli arresti, la prigionia, i processi ci misero in condizione di parlare
liberamente e francamente del Salvatore.
E la Parola, nelle prigioni, non fu portata unicamente per la via della persecuzione?
In Italia non è permesso evangelizzare i carcerati perché soltanto i sacerdoti
cattolici hanno accesso nelle celle delle prigioni, ma Iddio ha aperto quelle porte di ferro
davanti a noi. E' vero che esse poi si richiudevano alle nostre spalle, ma questo era
soltanto per darci una più ampia opportunità di parlare di Cristo agli infelici peccatori che si
trovavano reclusi in quei luoghi.
E nelle prigioni, luoghi di tormento e di peccato, la Parola di Dio ha avuto la sua via:
peccatori sono stati salvati e Iddio ha anche battezzato nello Spirito Santo lì, dove
nessuno può giungere.
Ricordo la testimonianza simpatica e significativa di un caro fratello della nostra
comunità Questo fratello fu arrestato molteplici volte e trascorse gran parte del periodo
della persecuzione fra la prigione e l’esilio. Sempre pieno di fervore e di zelo, amava
chiedere a Dio: “Signore se in questa comunità ci devono essere dei martiri, concedimi
l’onore di essere il primo”. Iddio non lo esaudì in questa richiesta, ma oggi egli è
ugualmente con il Signore. I piani eterni non si conciliano sempre con i nostri desideri e le
nostre richieste.
Questo fratello, durante una delle sue diverse detenzioni, fu posto nella cella di un
criminale in attesa di processo; era costui un uomo collerico e violento accusato di rissa a
mano armata.
Il caro fratello S. non indugiò a parlare del Salvatore al povero carcerato, ma questi
respinse duramente la testimonianza. Provò altre volte, ma il risultato fu identico anzi
sembrava che la Parola di Dio provocasse l’ira e la collera del temibile peccatore.
Il povero fratello divenne ben presto l'oggetto degli insulti e della collera furente del
suo compagno di cella, ma egli non venne mai meno nel suo contegno d’amore, di
dolcezza e di mansuetudine.
Un giorno che S. pregava inginocchiato presso la sua branda, il criminale, fuori di
sé, si lanciò sopra di lui, brandendo uno sgabello di legno. Era deciso di fracassarglielo sul
capo per farla finita con quell'uomo che rappresentava un'accusa alla sua vita di peccato.
Egli stava per compiere il gesto criminale quando una mano onnipotente, quella di Dio, gli
fermò energicamente il braccio: lo sgabello cadde a terra.
La lotta continuò ancora alcuni giorni, ma sempre più lieve: il povero peccatore
cominciava a sentire la voce delle opere del caro servitore di Dio…
Un giorno venne la capitolazione; il criminale si avvicinò al fratello con dolcezza e
gli confessò: “Riconosco che tu sei veramente un figliuolo di Dio! Riconosco che quello
che tu pratichi e predichi è la verità. Vorrei accettarla, ma non posso!
“Perchè non puoi?” chiese prontamente il fratello.
Perché io non potrei sostenere gli scherni e le persecuzioni che tu sostieni” rispose
il poveretto, e poi proseguì: “Io vedo che tu sei l'oggetto degli insulti di tutti e
particolarmente dei carcerieri; quando essi entrano nella cella e ti trovano inginocchiato, ti
coprono di parole malvagie. Io non potrei sopportare tutte quelle offese; eppure credo che
Gesù è il mio Salvatore e vorrei accettarLo; si, vorrei accettarLo con tutto il cuore, ma non
posso, non posso…”
Il povero peccatore pentito stava ripetendo con tono accorato: “Non posso, non
posso…”, quando la potenza di Dio cadde sopra di lui in una gloriosa e dolcissima
visitazione. Egli cadde sulle sue ginocchia e cominciò a gridare con tutta la forza dei suoi
robusti polmoni: “Signore, abbi pietà di me; abbi pietà di me; abbi pietà di me: salvami!”
A quei gridi forti e prolungati corsero le guardie, gli inservienti, i carcerieri ed
entrarono nella cella.
Compresero subito quello che era avvenuto e presero ad insultare il peccatore
penitente, ma egli ormai non si curava più di loro e delle loro offese; aveva trovato il
Signore.
In seguito Dio manifestò meravigliosamente il Suo aiuto verso di lui e in poco tempo
riacquistò la libertà. Pieno di gioia nella salvezza trovata, fece ritorno al suo paese ed
incominciò subito a rendere testimonianza del Redentore.
Tutti rimasero meravigliati del suo miracoloso mutamento e particolarmente i Suoi
familiari furono colpiti dall'evidenza dell'opera di Dio e lo Spirito Santo trovò una strada
aperta per operare. Oggi, in quel paese, esiste una piccola comunità per la sofferenza di
un figliuolo di Dio e per la sua fedeltà.
Sì, tutte le cose cooperano al bene.
Quando medito il verso di Paolo ai Romani e l’affermazione categorica che è
contenuta in essa, non posso fare a meno di associarlo, nel pensiero, al periodo della
persecuzione. Iddio è veramente meraviglioso e sa concepire dei piani che ci colmano di
sorpresa.
Ricordo un periodo particolarmente duro nella lotta della persecuzione e ricordo
come, attraverso quella prova che sembrava dannosa per la chiesa, il Signore portò in
luce bene e prosperità per ieri e per oggi. Le autorità presero la decisione di privare il
popolo di Dio dei suoi conduttori; esse erano riuscite ad individuare coloro che, nel mezzo
dei fedeli, espletavano un ministerio ed esercitavano una funzione direttiva e perciò
determinarono di arrestarli, rimpatriarli, esiliarli, allo scopo di generare lo smarrimento e
quindi la paralisi dell'opera.
La prova fu veramente dolorosa, perché vedemmo, uno dopo l'altro, eliminati tutti
coloro che amministravano la Parola e che guidavano il popolo, ma da questa prova
scaturì, in maniera gloriosa, la benedizione divina, perché mentre i ministri già all'opera
venivano eliminati, altri sorgevano per prendere prontamente il loro posto. Gli atti di
consacrazione si compivano uno dopo l'altro e Iddio suggellava questa disposizione
colmando i cuori di potenza e di sufficienza per il ministerio
Fu attraverso questa circostanza che anche io, circa venti anni fa, benché giovane
di età e ancora giovane nella fede, feci il mio atto di consacrazione al servizio di Dio. Mi
sentii chiamato a prendere il posto di altri che erano stati arrestati ed allontanati e Iddio mi
approvò per aiutarmi in questo arduo compito.
In seguito anch'io fui eliminato temporaneamente dal servizio ed altri presero il mio
posto e così Iddio, mediante la persecuzione diretta particolarmente agli operai del suo
campo, seppe chiamare, suscitare e sospingere un notevole numero di servitori nel suo
servizio.
Voglio anzi raccontare come fu chiamato e preparato per l'opera uno di questi
operai nati dal fuoco della lotta.
Questo fratello fu evangelizzato nel periodo della persecuzione . Egli aveva cercato
ansiosamente la verità per molto tempo e perciò accettò la testimonianza con entusiasmo
sincero.
Nessuno gli parlò di riunioni, ma egli stesso fece richiesta di poter incontrare i
fedeli, di poter lodare il Signore.
Ma il fratello che lo aveva evangelizzato era perplesso e titubante ed alfine
sinceramente gli dichiarò: “Noi siamo perseguitati; le nostre riunioni quindi sono
pericolose, perché possiamo essere sempre arrestati ed imprigionati...”
Questo fratello non sapeva se le sue parole sarebbero state accolte con piacere;
ma con piacevole meraviglia si sentì rispondere entusiasticamente: “Perseguitati,
arrestati? Ma questa per me è una prova ulteriore che siete nella verità: la chiesa cristiana
è stata sempre perseguitata ed io non ho timore di essere perseguitato, assieme ai
cristiani, per la gloria di Dio”.
Volle venire al culto; fummo sorpresi ed arrestati ed egli fu arrestato insieme a noi.
Dopo diverse settimane di carcere fu rimpatriato al suo paese nativo. Si trovò sin dai suoi
primi passi del sentiero cristiano solo, lontano dalla fratellanza, stretto dal bisogno e in
mezzo alla lotta dell'incomprensione e della persecuzione, ma non si scoraggiò. Le
esperienze che aveva fatto avevano sufficientemente e profondamente confermato il suo
cuore nella via della verità e quindi lì, nella solitudine e nella prova incominciò a pregare
fervidamente per essere rivestito di potenza divina. L'Iddio fedele non tardò ad esaudire
quella preghiera sincera ed il giovane fratello fu battezzato nello Spirito Santo ed appartato
per il ministerio dell'Evangelo. Con ogni franchezza, in mezzo ai disagi, alla miseria e alle
prove, egli incominciò il suo lavoro evangelistico ed ancora oggi, che sono trascorsi ormai
diciotto anni, egli lo sta continuando con vera capacità spirituale.
Iddio quindi seppe moltiplicare gli operai, riuscì a far sorgere le comunità, condusse
la testimonianza nelle prigioni e davanti alle autorità mediante le prove e le persecuzioni.
Tutto questo ci conferma che « tutte le cose cooperano al bene ».
Non importa, ripeto, se questo bene appare o rimane nascosto; esso c'è ed in
questa fiducia la nostra vita si deve arrendere, nella calma o nella persecuzione, nelle
braccia di Dio. I fratelli perseguitati d’Italia hanno saputo comprendere questa verità
preziosa nei giorni della lotta e Iddio li ha potuti usare per adempiere i suoi piani. Quando
questa verità è norma nella nostra vita, forza nel nostro cuore, diveniamo sempre gli
strumenti docili dei piani divini.
Si, tutte le cose cooperano al bene di coloro che amano Iddio ed i nostri persecutori
stessi hanno dovuto vedere e riconoscere che la loro potenza e i loro provvedimenti non
hanno danneggiato, anzi hanno aiutato la chiesa del Signore nel suo sviluppo e nella sua
prosperità.
Sale di riunioni
Da questo punto del mio modestissimo lavoro desidero presentare alcuni bozzetti
che illustrano, di riflesso, la vita emozionante vissuta dai fedeli nel periodo della
persecuzione.
Questi bozzetti non hanno nulla di drammatico e non sono presentati in una forma
linguistica che ne faccia materiale di lettura amena. Essi sono semplicemente la
testimonianza di alcune scene di vita vissuta e si prefiggono lo scopo di fornire un'idea
precisa della cornice che inquadrava l'attività della chiesa nel periodo al quale si riferisce
questo volumetto.
Per seguire, direi, un ordine logico, presento come primo, fra questi bozzetti, quello
sulle nostre “Sale di riunioni”.
I cristiani che si sono sempre raccolti in sale ampie e confortevoli, che hanno avuto
sempre ventilatori o impianti di riscaldamento, forse non hanno mai immaginato di quali
sale si sono dovuti servire i fratelli d'Italia nel periodo della lotta e della vita clandestina.
E' necessario che dica, prima di ogni altra cosa, che queste « sale » (scusatemi se
continuo ad usare impropriamente questo nome) dovevano, il più possibile, nasconderci
agli occhi indiscreti dei nostri nemici e al controllo delle autorità.
Non potevamo fare delle scelte troppo accurate e le comodità dovevano essere
dimenticate, perché il primo requisito era la segretezza.
Quindi le prime sale furono costituite dalle abitazioni dei fedeli che dimoravano nei
quartieri più isolati della città. Generalmente erano delle piccole camerette povere e senza
aria, ove però si accalcavano ugualmente decine e decine di fedeli.
Si respirava a fatica e non c'era la possibilità di muoversi. Pigiati uno accanto
all'altro, bisognava soltanto aver cura di occupare meno spazio possibile, eppure in queste
piccole salette, che trasudavano dai muri l'umido del nostro alito, era sempre
gloriosamente presente la benedizione di Dio.
Uscivamo da quei luoghi con le nostre giacche attraversate dal sudore, con i
calzoni attaccati alle gambe, con le fronti madide di sudore ed i volti accaldati, ma con la
gioia di esserci riuniti e di aver insieme incontrato il Signore.
Fra tutte queste camerette ne ricordo particolarmente una. Era una povera stanza
di una casupola in periferia; era larga forse tre metri e non era più lunga di tre metri e
mezzo. Il soffitto scendeva perpendicolarmente e la parte più bassa poteva essere quasi
sfiorata con il capo. Il pavimento era di cemento.
In questa stanzetta furono tenute centinaia di riunioni, interrotte di tanto in tanto da
un arresto in massa operato dalla pubblica sicurezza. Molti hanno trovato il Signore fra
quelle mura e moltissimi sono stati battezzati con lo Spirito Santo.
Ricordo una delle operazioni di polizia effettuata mentre ci trovavamo raccolti nella
stanzetta descritta.
Era una domenica ed eravamo raccolti per una riunione di preghiera. I fedeli erano
giunti sempre più numerosi ed ogni angolo, ogni spazio era stato occupato. I muri
colavano letteralmente acqua; l’aria era pesante, ma tutto questo scompariva sotto la
nuvola della gloria di Dio che era presente in quel luogo in un modo meraviglioso...
A questo punto cedo la descrizione ad un fratello che si trovava all’esterno della
casupola. Egli non era potuto entrarci e si era posto a sedere sopra una altura distante un
centinaio di metri:
“Giunse la polizia”, raccontò questo fratello, “e circondò la casa da lontano;
sembrava che dovesse compiere un'operazione pericolosa: gli agenti si stesero a terra in
attesa di un segnale. Improvvisamente il comandante diede il segnale e tutti, come un
uomo solo, si rizzarono in piedi e presero a correre verso la casa stringendo il cerchio
intorno ad essa. Quando si accorsero che non c’era pericolo o resistenza, aprirono
violentemente la porta ed entrarono... ma fatto un passo dentro, ne fecero prontamente
due indietro: l'aria era assolutamente irrespirabile.
Allora, con voce concitata ed irosa, ci ordinarono di alzarci e di venir fuori. Fummo
costretti ad ubbidire e ad uscire. dieci, venti, trenta... Il numero aumentava sempre più
sotto gli occhi meravigliati della polizia che non riusciva a comprendere come da quella
casupola potessero uscire tanti individui. Quaranta, cinquanta, sessanta, settanta...
“Ma come avete fatto” gridarono “ad entrare in quel luogo? Non avevate paura di
asfissiarvi?”
In oltre settanta uscimmo da quella specie di antro, fornito di una piccolissima
finestra che, d'altronde, eravamo costretti a tener chiusa per far spandere il meno possibile
le nostre voci. Oltre settanta, cioè sette od otto persone per ogni metro quadrato di
spazio”.
O cara stanzetta, quante benedizioni abbiamo raccolto dentro di te! Quante volte
abbiamo ripensato alle riunioni da te ospitate e abbiamo ripensato ad esse con nostalgia!
Molte delle riunioni ospitate fra le pareti ampie e confortevoli delle sale di oggi sono
prive della benedizione che arricchiva le riunioni di culto tenute in quella saletta che ci
dava umidità, caldo asfissiante, mancanza d'aria.
Purtroppo, anzi, queste piccole sale di riunioni non furono disponibili sempre,
perché, con l'aumentare delle misure di controllo della pubblica sicurezza e col succedersi
degli arresti, le case disponibili divennero sempre in minor numero ed un giorno fummo
costretti a cercare altrove, fuori delle case, le nostre sale di riunione.
Diversi fratelli, forniti di bicicletta, si misero alla ricerca nelle zone estremamente
periferiche della città, di campagne deserte, cave, grotte, boschi che comunque avessero
potuto accoglierci.
Furono individuati diversi posti apparentemente adatti per le nostre necessità.
Cominciammo così il nostro esodo notturno e domenicale verso queste nuove sale di
riunione.
Una campagna generalmente non riesce a nascondere come una casa e quindi per
raggiungere nel miglior modo possibile il nostro scopo erano stati scelti campi o località
campestri lontanissimi dall’ abitato, dalle strade e quindi dall'indiscrezione di passanti
occasionali.
Questo criterio di scelta ci costrinse però a compiere ogni sera chilometri e
chilometri di strada, talvolta nel buio più profondo, e a superare terreni pericolosi ed
accidentati.
Ricordo a questo proposito la dichiarazione di un poliziotto, in una sera che ci
arrestarono: “Ogni volta che vengo a cercarvi per prendervi, devo lacerare un paio di
calzoni! Come fate a trovare questi luoghi inaccessibili?”
Non posso nascondere che il disagio e la fatica erano notevoli. Ogni sera
bisognava affrontare gli stessi pericoli e la medesima fatica e dopo le riunioni, se si
riusciva a rientrare nelle nostre abitazioni, si doveva constatare che avevamo
sorpassata notevolmente la mezzanotte.
Eppure in quelle campagne umide, seduti a terra e sferzati talvolta dal vento e dal
freddo, noi godevamo la medesima gioia dei cristiani delle catacombe.
Qualche volta non era un campo ma una cava che ci accoglieva fra le sue spettrali
braccia di pietra Erano generalmente cave abbandonate che presentavano lo spettacolo
desolante di un lavoro lasciato a metà. Lì, su quei massi sparpagliati in ordine disordinato,
fra quella polvere che ci affondava, noi ci sentivamo nella nostra sala di riunione davanti al
Signore.
Ricordo, fra tante, le cave di Via Ardeatina, con le sue grotte sotterranee che
usavamo per le riunioni di preghiera. Bisognava percorrere, per arrivarci, una strada che
sembrava non dovesse mai finire, ma quando eravamo lì, quale gioia, quali benedizioni ci
colmavano l'anima ed il cuore.
Le ricordo in modo particolare fra tutte, perché sono tornato diverse volte a visitarle.
Esse sono divenute, ironia della sorte, monumento nazionale, perché proprio nel cuore di
queste cave, furono trucidati dalle truppe tedesche 335 Italiani.
Questi poveri infelici sono ora seppelliti nel medesimo luogo ove sono stati uccisi;
nel medesimo luogo ove noi abbiamo lodato il Signore.
Fra gli uccisi c'era anche un credente della nostra comunità, preso assieme agli altri
ostaggi e trucidato con loro per rappresaglia. Io mi sono chiesto tante volte se quel caro
fratello avrà riconosciuto, in quel luogo ove ha perduto la vita, il medesimo luogo ove ha
glorificato il Signore.
Oltre le cave, come già ho detto, ci servimmo di altre sale di riunioni, e fra queste ci
furono anche delle grotte ospitali. Nel seno della terra, illuminati da alcune torce e da
qualche lampadina tascabile, fummo imitatori perfetti dei cristiani delle catacombe. Ci
sentivamo veramente in comunione con essi, e quei luoghi, nei quali non filtrava nessuna
luce esterna e dove non giungeva aria di ricambio, diventavano i più suggestivi luoghi di
riunione che si potessero immaginare.
Anche le grotte furono disponibili soltanto per un periodo di tempo e fummo costretti
a cercare altre “sale”, altri luoghi di riunioni.
Località inaccessibili, piccoli burroni nascosti, boschi abbandonati, spiagge fluviali
irraggiungibili: tutto fu sperimentato e tutto fu usato.
I pericoli e i sacrifici venivano posti fuori delle nostre considerazioni, perché l’unico
scopo era quello di essere riuniti insieme per lodare il Signore ed offrire il nostro culto
spirituale al Suo nome glorioso.
Non voglio far pensare che questo continuo mutamento di luoghi di riunione ci
tenne lontani dalla polizia. No! Anche in questi vari luoghi eravamo raggiunti
sistematicamente dalle autorità esecutive ed arrestati e imprigionati. In quest'ultimo caso
le celle carcerarie diventavano le nostre sale di riunioni ed anche in quei luoghi di dolore e
di sofferenza il nostro canto di lode si elevava affettuoso e sincero nel cospetto di Dio.
Le autorità evangelizzate
Nel periodo della persecuzione la testimonianza dell’Evangelo si allargò in modo
meraviglioso e giunse miracolosamente davanti alle autorità e davanti ai magistrati.
Quasi ogni grado della magistratura italiana fu evangelizzato dai cristiani che si
trovavano nel cimento, perché i nostri processi furono portati in pretura, in tribunale, in
corte di cassazione, davanti al tribunale per la difesa dello Stato....
I nostri processi erano sempre interessanti ed emozionanti; generalmente
impegnavano un tempo notevolmente lungo, perché aprivano la porta alla testimonianza
dell'Evangelo. Entro questo tempo i magistrati ricevevano la testimonianza chiara,
dettagliata della salvezza in Cristo.
Non tutti questi giudici hanno accolto le nostre parole benevolmente e non tutti sono
stati giusti ed imparziali nei nostri confronti, ma più di uno o di pochi hanno ascoltato e
ricevuto le nostre parole con piacere manifesto e ci hanno mostrato il senso della loro
giustizia.
Io ricordo gli uni e gli altri e riconosco che Iddio ha voluto far pervenire la sua parola
a tutti e non soltanto per parlare di salvezza ma anche di giudizio e di giustizia. Sembra
quasi che Iddio abbia voluto applicare le parole pronunciate dal salmista: “Giudici della
terra, siate savi”.
La testimonianza dei cristiani, oltre che parlare di Cristo, parlò a tutti i magistrati del
tribunale di Dio, del Giudice supremo, della giustizia vera. Cioè ricordò a tutti gli uomini,
chiamati ad amministrare la giustizia, che sopra i loro giudizi e sopra la loro autorità c'era e
c’è l'indistruttibile autorità dl Dio, di fronte al Quale tutti gli uomini, e quindi anche i
magistrati, devono comparire per essere giudicati.
Fra tutti questi magistrati, due sono rimasti nitidamente presenti nei miei ricordi. Li
vedo fra tanti in un modo più distinto, direi più vicino. Il primo, una simpatica figura
giovanile, che riusciva a serbare anche in quel periodo d’insidia e di corruzione un sano
sentimento di giustizia. Fu chiamato diverse volte a giudicare le nostre cause e non ebbe
timore di manifestare tutta la simpatia che nutriva per l'opera di Dio.
In una causa molto complessa, che coinvolgeva nell'imputazione cinquantadue
cristiani, ci aiutò a conseguire la vittoria nell'assoluzione, illuminandoci giuridicamente per
farci riconoscere e superare le insidie della pubblica accusa.
Forse la Parola di Dio aveva raggiunto il suo cuore? Forse la testimonianza
dell'Evangelo aveva fatta breccia nella sua coscienza? Non so! Dopo quel periodo di
persecuzione lo abbiamo perso di vista e solo l'eternità ci rileverà ogni cosa intorno a lui.
Io spero, però, che quel giudice benevolo possa trovare benevolenza di fronte al
Giudice Supremo.
Il secondo fu giudice in uno solo dei nostri processi. Io non posso dire nulla dei suoi
sentimenti o delle sue capacità, ma posso dire che apparve agli occhi nostri come l'uomo
venduto alle opportunità, cioè un Pilato in miniatura.
Egli sapeva che molte persone altolocate desideravano la nostra condanna e quindi
preparò la sentenza e, di conseguenza, la condanna prima ancora dell’udienza.
Questo processo fu particolarmente emozionante. Una grande sala del Comune fu
messa a disposizione per ospitare questa causa che cercarono di convertire in uno
spettacolo.
Erano presenti, per assistere al programma fuori serie, le persone più influenti del
luogo.
Il Podestà di quel Comune, cioè il capo del Comune, si costituì pubblica accusa e
comparve all'udienza in orbace, cioè in divisa fascista con una larga fascia tricolore
attraverso il petto.
Tutto era stato predisposto per darci in pasto alla curiosità e forse allo scherno
pubblico. Ma Iddio si glorificò in un modo meraviglioso...
Le domande del magistrato e le continue insinuazioni dell'accusa furono soltanto
delle occasioni favorevoli per presentare ed illustrare ampiamente e francamente il
messaggio della salvezza.
Il pubblico era rapito dalle parole che il Signore poneva sulle nostre labbra e tutti
manifestavano in un modo evidente la loro approvazione: se avessero potuto, io credo che
ci avrebbero calorosamente applauditi.
La testimonianza fu resa fino in fondo ed il nome di Dio fu onorato; ma il nostro
giudice volle compiere quello che aveva deciso: fummo tutti condannati. Iddio, però, operò
meravigliosamente e quella condanna fu cancellata dalla Sua mano. Io spero che quel
piccolo giudice occhialuto, servo del regime e dei suoi pregiudizi confessionali, non debba
comparire davanti a Colui che può chiedergli ragione della sua ingiustizia.
Non soltanto i magistrati dei vari gradi furono evangelizzati in quei giorni, ma anche
alti funzionari di Ministeri, questori, ufficiali della polizia e dei carabinieri, ufficiali generali
della milizia fascista, prefetti della provincia. Le opportunità si moltiplicavano e quelle
medesime porte, che sembravano irrimediabilmente chiuse davanti a noi, si aprivano per
offrirci la possibilità di portare la testimonianza dell’Evangelo dove non saremmo potuti
giungere per vie normali.
Questo nuvolo di autorità gallonate e civili furono i nostri giudici ed i nostri
inquisitori, ma molte volte le parti si invertivano ed essi assumevano la posizione di
imputati; la Parola di Dio, in quel caso, diventava il loro severo atto di accusa. Essi
venivano sempre presi da meraviglia nel vedere la franchezza ed il coraggio dei cristiani;
erano abituati a vedere le persone tremare davanti a loro ed invece ecco comparirgli
davanti degli individui di basse condizioni sociali e privi di qualsiasi cultura, che non
soltanto non tremano ma non perdono la favella ed espongono con franchezza la propria
fede, la propria speranza e la dottrina che professano.
Nessuno di noi può dire quale risultato abbia seguito l’evangelizzazione delle
autorità, anche a questo proposito si può ripetere: l’eternità rivelerà ogni cosa!
Però si può affermare che attraverso la persecuzione si sono adempiuti i piani di
Dio e le parole di Gesù relative all’evangelizzazione delle autorità. La testimonianza è
stata recata davanti ai grandi della terra e così tutti, nobili e plebei, carcerati e giudici,
cittadini e autorità, hanno udito il messaggio della grazia.
Una vera esposizione di autorità era rappresentata dalla famosa “Commissione per
l’assegnazione dell’ammonizione e del confino di polizia”. Questa missione era formata dal
Prefetto, da un generale della milizia, da un colonnello dei carabinieri, dal questore e da
vari segretari.
Molti cristiani comparvero davanti a questa terribile e temuta commissione per
essere condannati all’esilio e alla sorveglianza vigilata. Tutti fummo condannati, ma io
credo che i veri condannati furono i nostri giudici che, ripetutamente e per le labbra di una
moltitudine di cristiani, udirono la testimonianza calda e sincera della salvezza. Ricordo
che quando fui chiamato a comparire (ero allora poco più che giovanetto) si verificò un
fatto curioso: le cose che incominciarono ad addebitarmi non si riferivano alla mia
persona. Evidentemente il segretario aveva confuso le pratiche ed aveva preparato un atto
di accusa privo di qualsiasi fondamento reale.
Feci notare che l’accusato non potevo essere io, perché le cose contenute nel
verbale non corrispondevano. Rimasero tutti confusi…ma pronunciarono ugualmente la
condanna. Ma io, quel giorno, mi sentivo pieno di gioia perché avevo potuto aggiungere la
mia voce a quella degli altri e confermare con la mia personale testimonianza la
testimonianza che avevano già reso gli altri fratelli.
Si, le autorità furono evangelizzate; l’Evangelo che volevano soffocare ha fatto
udire la sua voce poderosa e quando, nel giorno di Cristo, gli uomini saranno chiamati a
rendere conto delle loro opere e dei loro sentimenti, anche coloro che furono nei più alti
gradi della gerarchia dovranno confessare di aver sentito parlare di Gesù da un popolo
umile e povero che essi hanno maltrattato e perseguitato.
Il mio primo arresto
La persecuzione cominciava ad infierire contro la chiesa e già molti avevano fatta
l'esperienza dell'arresto, degli insulti, delle minacce. In ripetute circostanze le riunioni
erano state interrotte dall'intervento degli agenti di polizia ed i fedeli raccolti nel luogo,
generalmente una casa di abitazione, tradotti al più vicino commissariato.
Io non avevo ancora avuto questa esperienza e mi giudicavo defraudato di un
privilegio. Ero stato sempre assiduo alle riunioni e sempre avevo continuato la mia attività
pubblica di cristiano, ma i piani di Dio mi avevano tenuto fuori da simile circostanza.
Quando l'arresto era stato effettuato in una casa, io mi ero trovato in un'altra casa, e così
pur avendo presenziato regolarmente alle riunioni di culto, ero stato risparmiato.
Ma finalmente, e questo finalmente sta ad indicare l'ansia di poter combattere in
prima linea con tutti i credenti, venne la volta mia.
Ero in una piccola e poverissima casa di un fratello residente nell'estrema periferia
della città; casa che si componeva di un solo vano adibito a tutti gli usi che generalmente
vengono riconosciuti ad una casa.
Non eravamo in molti; probabilmente la grande distanza dal centro della città, unita
alla scomodità di strade appena tracciate e sempre ricche di fango o di polvere, rendeva
questo luogo, in quell'epoca che segnava solo il principio della persecuzione, il meno
frequentato fra quanti erano disponibili.
Avevamo iniziato la riunione di culto da circa venti minuti ed eravamo impegnati a
cantare, con voce così flebile che pareva sospiro, un inno spirituale, quando con l’impeto
dell’uragano la porta fu aperta sotto la violenza di una spinta vigorosa e, prima ancora che
ci rendessimo conto di quanto stava accadendo, tre o quattro individui, scalmanati e
violenti, ci ingiunsero di sospendere il canto e di alzarci in piedi.
L’ingiunzione era completamente superflua, perché la violenza dell’azione aveva
spento il canto sulle nostre labbra e in quanto all’alzarci in piedi lo avevamo fatto in
ubbidienza all’istinto.
“Seguiteci!” ordinarono gli sgherri, e subito aggiunsero: “Siamo comandati dal
Gruppo rionale”.
Non erano agenti di polizia, ma fascisti inviati sul posto da una delle tante spie delle
quali in quell’epoca si serviva il regime dittatoriale che schiacciava l’Italia.
Tutti rimanemmo sereni, benché l’intervento dei fascisti poteva significare la
consumazione di qualsiasi illegalità e di qualsiasi violenza. Le pagine della più recente
storia italiana grondavano ancora sangue per le bravate delle schiere nere e non c’era
nessuno di noi che ignorasse di quanto erano capaci, anche a solo scopo sadico o
intimidatorio, i così detti “gruppi rionali” cioè quei distaccamenti e compartimenti che
rappresentavano il partito nei diversi quartieri della città.
La nostra serenità e la nostra tranquillità produssero forse un’impressione
favorevole su quegli uomini, perché, senza insistere oltre nel loro contegno di violenza, ci
fecero uscire dalla casa e, sotto gli occhi incuriositi del vicinato, fra i quali forse non erano
assenti quelli del compiacente delatore; ci fecero incolonnare uno dietro l'altro; quindi ci
divisero ai due lati della fila e ci fecero mettere in cammino
Lungo la strada ci coprirono con i loro motteggi e i loro lazzi, ai quali noi
rispondemmo, talvolta con dignitoso silenzio, e talvolta con opportune citazioni bibliche
atte a chiarire il fine della nostra speranza e della nostra fede.
Giungemmo finalmente alla sede del “gruppo”. Sale, salette, corridoi; alcune
arredate con lusso ed eleganza, altre abbandonate all'incuria e al disordine; forse le une
per i gerarchi o per le cerimonie più o meno ufficiali, le altre semplicemente per gli iscritti o
per le attività sociali; noi fummo lasciati in un cortile all'aperto sotto la vigilanza di uno
sgherro. Dopo poco incominciarono ad accorrere i curiosi: frizzi acerbi, minacce violente,
tutto si riversò sopra di noi e l'uno ci prometteva uno schiaffo e l'altro proponeva alla
compagnia di somministrarci una di quelle abbondanti dosi di olio di ricino per le quali,
assieme ai manganelli, si erano resi tristemente celebri.
Nessuno ci fece nulla, perché, sapemmo in seguito, erano in attesa della decisione
del fiduciario, cioè del capo del gruppo. Nessuno ci fece nulla, perché, come ha detto
Gesù, neanche un capello del nostro capo può cadere a terra senza l'approvazione di Dio
e quindi senza che questo rientri nel piano di Dio.
Iddio voleva che il nostro esercizio fosse progressivo e per quella volta ci fece
conoscere solo l'emozione dell'arresto, la prova degli insulti e degli scherni e l'esperienza
delle minacce.
Il fiduciario, dopo averci fatto attendere all'aperto per alcune ore, prese una
benevola decisione: “Chiamate gli agenti di polizia del più vicino commissariato”, egli
disse, “e consegnate loro questi individui”.
Attendemmo ancora un poco di tempo, utile ai fascisti per continuare i loro scherni,
e quindi giunse un agente di polizia. Si fece consegnare i nostri documenti, trascrisse
diligentemente le nostre generalità e alla fine sentenziò: “Potete andare”.
Quando uscimmo da quel luogo, eravamo tutti gioiosi, più che per la liberazione
avuta, per la grazia realizzata in Dio per rimanere sereni e tranquilli nella prova sostenuta
per il Suo nome.
Trepidanti e pieni di gioia, raggiungemmo una casa ove sapevamo di trovare diversi
fedeli e tutti ci unimmo per lodare Iddio in questa esperienza e soprattutto per l'aiuto e la
grazia dei quali ci era stato prodigo.
Un culto all’aperto
Eravamo raccolti in un tardo pomeriggio di primavera. sulle rive dell’Aniene, il
torbido affluente del Tevere che scorre nell’estrema periferia della città. Il luogo scelto per
le riunioni di culto era dei più accoglienti: una vasta conca circondata da folti cespugli, che,
mentre ci isolavano dalla zona, d’altronde deserta, che ci correva attorno, ci mantenevano
anche in uno stato di raccoglimento e di poesia.
Non era la prima riunioni che tenevamo in quel luogo e non ci eravamo mai pentiti
della scelta fatta, benché per accedere alla conca erbosa dovevamo percorrere un lungo
tratto di strada e superare delle ardue zone accidentate. Quella sera, fra il sommesso
salmeggiare dei cantici e quello meno sommesso dalle preghiere, giungemmo fino a quel
punto della riunione che tutto tace per dar posto alla predicazione della Parola. Un giovane
fratello lesse pacatamente il salmo 129 e poi lentamente, ma con calore, cominciò a
porgere il suo sermone. Era ancora alle prime parole, quando i ciuffi verdi dei cespugli si
piegarono violentemente e comparvero tutt’intorno uomini in borghese. Comparire e
saltare come fiere tra noi fu quasi una sola azione. “Non vi muovete, non fuggite, state
fermi”, presero a gridare concitatamente, “Siamo agenti di polizia; vi dichiariamo in
arresto”.
Nessuno di noi pensava a fuggire, anzi, rimanemmo tutti fermi e tranquilli.
Rassicurati dalla nostra attitudine gli agenti, senza più gridare, ci circondarono. “Ora
seguiteci”, ci dissero.
Il gruppo era molto folto e quindi c’incolonnarono per due e ci avviarono, sotto
scorta vigilante, verso l’abitato.
Gli agenti non erano soddisfatti della spedizione; per giungere al luogo ove
eravamo radunati avevano dovuto, oltre che affaticarsi, sacrificare le loro scarpe e i loro
abiti al fango, agli sterpi e perciò lungo il cammino sfogavano tutto il loro malumore con
frasi mordaci indirizzate alle nostre persone.
Finalmente giungemmo ad un'ampia radura dove stazionava il resto del drappello
della polizia. C’era ad attendere un’auto da trasporto sufficiente per una trentina di
persone. Da qui cominciò il trasporto al più vicino commissariato di polizia, furono prima
fatte salire parte delle sorelle ed avviate velocemente allo stabile ove aveva sede il posto
di polizia che distava oltre un chilometro dal luogo .
Queste, tutt'altro che spaventate, cantavano lungo il percorso: “Salvati siamo, non
più timore, per questa strada si giunge al cielo...”
No, care signore, interrompevano gli agenti di scorta, per questa strada si giunge in
prigione. Gli agenti ignoravano una verità preziosa, e cioè che la strada di Dio passa per la
prigione, ma porta in cielo. Tre, quattro viaggi furono necessari per trasferire l’intero
gruppo dalla radura al commissariato.
Lì fummo ammassati in un ampio salone, usato come refettorio per gli agenti, e
lasciati in attesa i ordini.
Mentre c’intrattenevamo lietamente e serenamente in conversazione cristiana entrò
un individuo dal viso rosso e dall'occhio penetrante; prese a fissarci attentamente uno
dopo l'altro; ogni tanto si fermava per un particolare esame, davanti ad un fratello o ad
una sorella; allora si piegava e allungava il collo in avanti per concentrare la sua
attenzione dal basso in alto. Compiuto l'esame di tutti, ricominciò dal primo e così per
diverse volte. Non abbiamo mai saputo la ragione di quella strana osservazione.
Io intanto cominciavo a sentire una fame acuta, in quell'epoca soffrivo strani disturbi
di stomaco che venivano provocati appunto dalla fame e cominciai perciò a pensare a quel
che avrei sofferto di lì a poco. Da molte ore non mangiavo e non c’era la probabilità che
avrei mangiato molto presto.
Ma l'Iddio, che nutrì il profeta per i corvi, mandò anche a me un aiuto provvidenziale
e insperato. Il corvo questa volta ebbe le spoglie di un agente che, rientrando tardi da un
permesso giornaliero, venne nel refettorio a consumare la sua cena.
Incuriosito della presenza di tante persone prese a chiederci spiegazioni e a darci,
di conseguenza, l'opportunità di rendergli testimonianza della verità. Io mi trovai fra i primi
e fra i più attivi a rispondere alle sue parole. Il giovane fu vivamente toccato nell'animo e in
un trasporto di simpatia mi offrì spontaneamente un pane con della carne in mezzo; era
quanto bastava per placare i morsi della fame e trasferire il mio disturbo doloroso. i
Trascorsero diverse ore; incominciarono le solite procedure burocratiche: consegna
dei documenti di identità, interrogatori, ecc.
Finalmente giunse la decisione del commissario: “le donne siano rilasciate, gli
uomini invece siano rinchiusi nelle camere di sicurezza”.
Per nostra buona ventura le camere di sicurezza in uso in quel commissariato
erano abbastanza ampie; misuravano forse quattro metri per ognuna delle pareti e quindi,
quando fummo divisi in gruppi e posti 14 per 14 nelle due celle, non ci trovammo troppo
ristretti.
Entrammo in quella cella verso le due di notte e cioè dopo molte ore dall'arresto,
eravamo stanchi e quasi tutti non avevamo mangiato dalle prime ore della mattina, ma
nessuno avvertiva stanchezza e fame e tutti ci trovammo d'accordo d'incominciare subito
una riunione di culto: non temevamo arresti e non eravamo agitati da nessuna
trepidazione; la polizia ci aveva offerto un locale ed una opportunità per tenere una
riunione in completa libertà.
Ricordo chiaramente il testo del sermone: “Sii fedele fino alla morte ed Io ti darò la
corona della vita” (Apocalisse 2.10).
Tutti fummo incoraggiati e consolati dalle preziose parole del Signore.
Terminata la riunione, poiché non si poteva pensare alla cena (in camera di
sicurezza danno da mangiare soltanto una volta al giorno pochi grammi di pane con carne
di cavallo insaccata), pensammo di metterci a dormire. A questo punto sorse il primo
problema.
In nessuna camera di sicurezza esiste un letto e in quella, come in tutte le altre,
c'era soltanto il classico “tavolaccio” e cioè un tavolo di legno della grandezza di metri 2x2,
conficcato nel muro e sorretto all'estremità opposta da un cavalletto posto su un piano più
basso, per dare una posizione inclinata alla tavola stessa. A circa 25 cm. più in alto era
conficcata nel muro una seconda tavola larga forse 30 cm. che correva per tutta la
lunghezza del “tavolaccio”; questa seconda tavola rappresentava il guanciale degli infelici
malcapitati.
Il tavolaccio non era il letto più desiderabile, ma comunque rappresentava
ugualmente un mezzo per tentare il conseguimento di un poco di riposo, ma come
sistemare 14 persone su due metri di legno?
Decidemmo di attuare una specie di turno: alcuni si sarebbero accomodati sul
tavolo, altri in terra; dopo qualche tempo avremmo sostituito i rispettivi giacigli.. E così
facemmo e così giungemmo alle prime luci della mattina fortunatamente non lontane
dall'ora in cui iniziammo l'incomodo nostro riposo.
Con la luce avremmo voluto incominciare la nostra giornata: lavarci, metterci in
ordine. Chiamammo gli agenti, ma questi ci risposero che queste cose non sono d'uso
nelle camere di sicurezza, perché coloro che sono detenuti in queste non devono uscire
per nessuna ragione finche non si decide la loro sorte e cioè o libertà o carcere giudiziario.
Per questo motivo, aggiunsero, esiste quel vaso di legno, entro la cella stessa; e, così
dicendo, ci indicarono un lurido arnese che giaceva in un angolo della stanza, che ora alla
luce del giorno ci appariva nel suo reale, orrido stato.
Pazienza! Ci rimane una sola cosa da fare, dicemmo gli uni agli altri, e
cominciammo una nuova riunione di culto. Non ricordo in quale modo eravamo riusciti a
rimanere in possesso di una copia di un piccolo Nuovo Testamento (ogni altra cosa ci era
stata tolta, assieme alle correggie delle scarpe e dei pantaloni) e quindi, se dovemmo
servirci solo di quegli inni che sapevamo tutti a memoria, potemmo servirci, nel sermone,
della scrittura.
La giornata trascorse in santa letizia; le ore trascorsero nelle conversazioni cristiane
e nelle preghiere e nel pomeriggio tenemmo una terza riunione di culto.
Non ci diedero molto da mangiare e non vollero neanche farci passare quanto le
sorelle, sin dalle prime ore della mattina, portarono al commissariato (In quei giorni non
esisteva un organizzazione, ma tutto era organizzato in modo perfetto dallo Spirito di Dio),
ma il Padre celeste ci nutrì abbondantemente delle parole della Sua bocca.
Durante la giornata venimmo interrotti frequentemente dalle visite di controllo degli
agenti: questi aprivano la porta, ci contavano, ci dicevano qualche frase di scherno, e poi
tornavano a chiudere la porta davanti a noi.
Giunse la sera e già ci disponevamo ad incominciare un nuovo turno sul
“tavolaccio”, quando la porta si aprì violentemente ed un nome fu pronunziato
imperiosamente. Il fratello chiamato seguì l'agente; attendemmo diverso tempo, ma non
tornò. E' troppo tardi, dicemmo, per un trasferimento al carcere giudiziario, forse per
questa volta ci lasciano in libertà.
La porta si aprì di nuovo: un secondo nome: “Perchè ci chiamano?” chiedemmo
all'agente “Per essere posti in libertà”, fu la risposta.
Uno dopo l'altro i fratelli cominciarono ad uscire. Venne anche la volta mia (fui il
penultimo) e fui portato davanti ad un funzionario che mi coprì di minacce e al quale
naturalmente diedi la sola e semplice risposta: “Io devo fare la volontà di Dio” e poi fui
condotto al corpo di guardia dove mi furono restituite tutte le cose che mi erano state tolte:
correggie, fazzoletti, portafoglio, denaro, ecc.
Era notte quando uscii sulla strada, ma trovai lì ad attendermi, diversi altri fratelli e
sorelle che erano venuti ad attenderci.
Quest’esperienza era passata; glorificammo insieme il Signore e uniti ci
disponemmo per attendere quello che doveva ancora venire.
Carcere Giudiziario
Venne un periodo che sembrava di tregua per la chiesa: un' amnistia ampia e
generosa interruppe la mia condanna a due anni di sorveglianza speciale; i confinati
tornarono alle loro case; altri, come me, furono condonati e tutti assieme trascorremmo
diversi giorni di gioia purissima nella comunione fraterna.
Molte famiglie riabbracciarono i loro cari, esiliati lontano; altre spensero la
trepidazione che li teneva in ansia per il loro congiunti sottoposti a libertà vigilata,
condanna che mantiene continuamente, coloro che sono sottoposti ad essa con un piede
nella prigione e con uno fuori, e tutta gioimmo per le catene infrante e per la consolazione
di rivedere molti fedeli lungamente separati da noi ha causa del loro confinamento.
Sembrava che fosse giunta, se non la fine, una lunga tregua alla persecuzione, ma
pochi giorni furono sufficienti a convincerci del contrario.
Mi trovavo in una di queste serate gioiose in casa della famiglia L... per presiedere
una riunione di culto. Il padre e la figlia maggiore erano tornati recentemente dal confino;
egli si trovava in quella sera seriamente ammalato, mentre sua figlia si era recata a
presenziare una riunione di culto che si teneva in un quartiere basso della città.
In casa c'era soltanto la mamma che accolse estesamente tutti i fedeli che
affluiranno nella sua abitazione.
Malgrado la malattia del marito era piena di gioia. Non solo aveva abbracciati i
solitari tornati dal confino, ma per il giorno successivo attendeva anche il ritorno delle sue
due figliole minori che terminavano precisamente quel giorno la loro pena carceraria di tre
mesi ciascuna.
Queste due giovani sorelle avevano avuto questa condanna perché giudicate
colpevoli di trasgressione alla " sorveglianza speciale " ed avevano trascorso gran parte
della loro detenzione in celle in comune, unite a donne criminali della peggiore specie.
Esse avevano incontrato questa prova per presenziare una riunione di culto.
Ma ormai la condanna era giunta al suo termine, i tre mesi erano trascorsi; la
famiglia, dopo varie ed avventurose vicissitudini, tornava a comporsi e perciò la vecchia
mamma era traboccante di serena gioia cristiana.
I diversi fedeli si sistemarono meglio che potevano nella non molto grande cucina,
che rappresentava il varo della casa più distante dalla porta di ingresso (generalmente si
usavano queste precauzioni per non far udire rumori all'esterno) ed io aprii il servizio di
culto: innalzammo sommessamente alcuni inni, poi, mostrati in preghiera, elevammo le
nostre lodi e le nostre richieste; ancora un inno e quindi alcune testimonianze. Dopo
queste iniziai il sermone: lessi il salmo 144 e presi come testo i primi due versi. Ma ero
solo all'introduzione, quando un trillo prolungato, oltre ogni convenienza, del campanello
mi fece comprendere che qualche cosa stava avvenendo; comunque, non mi interruppi,
ma potetti pronunciare solo poche altre parole, perché un clamore di voci concitate e di
passi frettolosi arrestò il sermone sulle mie labbra.
Dalla porta una voce sonora e stizzosa esclamò: " E' Bracco che parla."
In pochi minuti la casa fu letteralmente invasa da un intero drappello di agenti di
polizia. Io li conoscevo quasi tutti perché venivano dal commissariato del quartiere nel
quale io abitavo.
“Seguiteci!” fu il comando imperioso. Era inutile indugiare; ci mettemmo in
cammino e in pochi minuti ci trovammo tutti nei locali del commissariato.
Incominciarono le pratiche alle quali ormai eravamo tanto abituati e
comprendemmo subito che le intenzioni del commissario erano delle più severe. Infatti io,
unitamente a quattro fratelli (uno poi fu rilasciato la mattina seguente) e la vecchia mamma
unitamente ad una sorella, fummo trattenuti e portati al piano terreno per essere internati
nelle camere di sicurezza.
Mentre attendevamo pazientemente il disbrigo delle pratiche relative alla nostra
carcerazione, scese a vederci un arcigno funzionario col quale molte volte avevo avuto
relazioni, in conseguenza della persecuzione, e che sempre mi era apparso un terribile
mastino. Egli mi guardò e poi mi disse duramente, ma con una sfumatura di benevolenza.
“Bracco ti sei rovinato!” Il mio aspetto, tutt'altro che spaventato, dovette però convincerlo
che non ero un individuo completamente equilibrato e perciò senza aggiungere altro ci
volto le spalle e si allontanò.
Poco dopo fummo chiamati dagli agenti di custodia e fummo invitati a toglierci le
correggie delle scarpe e dei pantaloni e a depositare tutto quello che avevamo nelle
tasche.
Io avevo, assieme ad altre cose, una copia del Nuovo Testamento e Salmi e quello
mi doveva servire per
esperimentare la fedeltà di Dio. Infatti nel periodo che tutti i fedeli cucivano pagine
della Bibbia nell'interno dei loro abiti o l'incollavano fra le suole delle loro scarpe per avere
la gioia di poterle portare nell'interno delle prigioni ove era impedita, nel modo più
assoluto, la lettura delle Sacre Scritture, io mi ero rifiutato di seguire queste misure di
previggenza ed avevo ripetutamente dichiarato: “Sento che Iddio mi aiuterà a portare la
Sua parola anche lì dove è combattuta.”
Io perciò lasciai il mio piccolo Nuovo Testamento nel taschino. Ultimato l'inventario
degli oggetti consegnati, si avvicinò a me un graduato di polizia per sottopormi alla
perquisizione prescritta. Palpò i miei abiti, le mie tasche e giunse con la sua mano al
taschino ove avevo lasciato il prezioso libricino.
“Questo non si può tenere!” mi disse risolutamente.
“E' semplicemente una copia del Nuovo Testamento.” risposi io con una ingenuità
naturalissima in quel momento.
Non mi rispose, continuò il suo esame, giunse per la seconda volta con la sua mano al taschino rigonfio e solo allora
ripeté: “Questo non si può tenere!” “Ma è la Parola di Dio”, insistei io con semplicità.
L'agente fu vinto, mi aprì la porta della prigione e mi invitò ad entrare. Varcai la
soglia della camera squallida e sporca con una gioia nel cuore: avevo la Sacra scrittura
con me.
I miei compagni mi seguirono dopo poco ed assieme dividemmo la gioia della
vittoria e dividemmo anche il digiuno e l'insonnia. Non ci diedero da mangiare e non
riuscimmo a dormire su quell’unico letto comune di tavole infisse nel muro, senza
materasso e con una sola coperta sdrucita e sudicia.
Il giorno seguente, alle prime luci dell’alba, ci sentimmo chiamare e con nostra
somma sorpresa udimmo la voce della sorella tornata da poco dal confino.
“Dove ti trovi?” chiedemmo.
“Nella cella accanto alla vostra”.
“Come mai?”
“Ieri sera tardi”, ella ci disse, “tornarono nuovamente gli agenti di polizia per
arrestarmi quale corresponsabile del!a riunione alla quale io ero assente. Volevano
arrestare anche il babbo”, ella continuò, “ma la sua grave malattia lo rendeva
intrasportabile”.
Continuammo la conversazione fino ad una interruzione patetica. Le figliuole
dimesse dal carcere, trovata la casa nel disordine e nell'abbandono e appreso il motivo
della presentita sorpresa (mentre compivano il viaggio di ritorno avevano ricevuto un
avvertimento nello Spirito), giunsero al carcere per vedere e baciare la sorella e la
mamma. Le fu consentito per pochi istanti e così interruppero brevemente la nostra
conversazione.
Giunse il pomeriggio, la porta improvvisamente si aprì: “Si esce?” ci domandammo
meravigliati. La nostra meraviglia era delle più legittime, perché quel si esce si riferiva
semplicemente ad un trasferimento dalla cosiddetta “camera di sicurezza” al “carcere
giudiziario”.
Ci restituirono frettolosamente e alla rinfusa gli oggetti che avevamo depositati e ci
spinsero fuori, sotto scorta armata, ove era ad attenderci un carrozzone chiuso, in lamiera
grigioverde.
Fummo tutti presi in consegna da altri agenti di polizia e caricati, come merce fuori
d’uso, sopra il carrozzone già gremitissimo di criminali prelevati nei diversi quartieri della
città.
Nella strada erano ad attenderci un gruppetto di cristiani che vollero tributarci da
lontano il loro saluto affettuoso e fraterno.
Il carrozzone fece un giro vizioso per la città e finalmente raggiungemmo il detto
carcere giudiziario che ci doveva accogliere.
Furono prima “scaricate” le donne nel reparto riservato a queste e lì ci salutammo
con le sorelle incoraggiandoci vicendevolmente nel Signore. Quindi venne il nostro turno; il
carrozzone varcò un cancello; poi un altro, un altro ancora e si fermò. Scendemmo
insieme a coloro che erano diventati i nostri compagni e a piedi oltrepassammo altri
cancelli, altre porte di ferro fino agli uffici ove si dovevano compiere le formalità d’uso:
Impronte digitali.
Generalità.
Versamento del denaro.
Fummo quindi condotti in una piccola cella per il versamento degli oggetti proibiti.
Versammo correggie, spille, fibbie e quanto avevamo nelle nostre tasche.
Successivamente ci fecero denudare perché gli indumenti potessero essere sottoposti ad
un controllo accurato.
Tutto, tutto fu ammucchiato su un tavolo davanti agli occhi nostri.
Fummo invitati a rivestirci; non appena ultimata questa operazione, io stesi con
naturalezza la mia mano per riprendere il mio Nuovo Testamento.
“Non puoi prenderlo!” mi disse il capo guardia senza asprezza.
“Perché? – chiesi - E' la Parola di Dio.” E nel dire così mostrai il libricino aperto al
frontespizio. Il severo funzionario accolse la mia naturalezza con benevolenza e mi
rispose: " Lascialo ora, te lo porterò poi in cella. " E quell'uomo fu verace. Iddio aveva
premiata la confidanza che io avevo riposto nel Suo aiuto onnipotente.
Ci accompagnarono in un magazzino e ci caricarono del nostro corredo carcerario:
coperta, lenzuola, scodella di alluminio, cucchiaio e forchetta di legno, bicchiere di
alluminio ecc.
A notte inoltrata facemmo il nostro ingresso nella nostra nuova residenza. Vale la
pena descriverla: una cameretta lunga m. 3, 50 e larga m. 1, 50; fornita di tre piccole
brande in ferro e quattro piccolissimi materassi ripieni di paglia. Una finestra in alto con
sbarre di ferro robustissime e con persiane di legno volte in alto, uno sgabello di legno e
in un angolo un grosso vaso di terracotta.
Nel mezzo, sospesa ad un filo elettrico, una lampadina colorata blu.
Quella la nostra dimora per 23 ore del giorno. Un ora del giorno infatti è riservata
per far prendere " aria " ai carcerati e questo avviene in cortiletti umidi e ombrosi, e le altre
23 ore devono trascorrere nella cella dove non esiste un gabinetto, non esiste acqua
corrente, ove non c'è aria sufficiente e ove non c'è neanche spazio sufficiente per
muoversi. Eppure tutto deve compiersi lì, a detrimento del pudore, dell'igiene, del morale.
Noi ci accorgemmo dell'esistenza di tre brande e facemmo notare la mancanza della
quarta, ma la guardia ci spiegò che lo spazio non consentiva l'esistenza di una quarta
branda.
" Se volete”, aggiunse, forse con dispetto, “uno di voi può essere trasferito in altra
cella ".
Preferimmo rimanere uniti e presto ci accorgemmo che fra il dormire in terra e il
dormire sopra la branda non c'era differenza. La durezza era identica, gli insetti erano
abbondanti in ambedue questi luoghi.
In quei giorni si trovavano nel medesimo carcere diversi fratelli condannati
precedentemente ed esclusi dall'amnistia; cercammo subito, a mezzo dei secondini, di
inviare loro dei messaggi, ma fu una fatica inutile, perché tutti si rifiutarono di prestarsi e
tutto quello che potemmo fare fu solo di scambiarci una o due volte un poco di cibo che
provvidenzialmente avevamo ricevuto dall'esterno. Dico provvidenzialmente, perché la
minestra giornaliera e le due pagnotte di pane, che ci venivano date ogni giorno non erano
assolutamente mangiabili. I giorni trascorrevano lentamente e con monotonia che sarebbe
stata opprimente se la presenza della Scrittura non ci avesse offerta la frequente
possibilità di interromperla. Tutto si svolgeva meccanicamente e uniformemente: sveglia,
pulizia della cella, rancio, controlli giornalieri e notturni delle sbarre, distribuzione
dell'acqua, ritiro delle immondizie; tutta la vita è racchiusa entro queste cose che serrano
la vita più di quanto possa fare la cella stessa.
Noi credenti naturalmente avevamo aggiunte a queste cose preghiera, lettura del
Vangelo, conversazioni cristiane, e anche lì brillava il raggio luminoso della speranza e
della gioia.
Giunse il giorno del processo; Dio intervenne in un modo prodigioso; fummo
miracolosamente assolti; il giudice dichiarò, cosa eccezionale per quell'epoca, che pregare
Iddio secondo i dettami della propria coscienza non costituiva reato.
Tornammo in prigione pieni di gioia per l'aiuto divino e, perché no, pieni d'ebbrezza
per l'imminente liberazione, ma ci era riservata una sorpresa. Nel pomeriggio non fummo
posti in libertà. Chiedemmo spiegazioni e ci fu risposto: "Siete stati assolti dal magistrato,
ma ora siete a disposizione della Questura centrale."
Altre domande che rivolgemmo ci fecero sapere che la questura aveva il diritto di
trattenerci in prigione, a propria disposizione, per la durata di sei mesi. Al termine di
questo periodo poteva chiedere il nostro trasferimento in una camera di sicurezza per poi
rimandarci il giorno seguente nuovamente al carcere; poteva così cominciare un altro
periodo di sei mesi.
Con questa procedura burocratica potevamo essere trattenuti in stato di detenzione
per anni ed anni. Questa esperienza ci fece vedere chiaramente quali siano le risorse di
un regime prevalentemente poliziesco. Esso può operare sempre al di sopra dei diritti
umani, delle leggi, della magistratura. La Sua potenza statale e terribile.
Ma Dio aveva cominciato ad operare ed egli non arresta a metà l'opera che vuole
portare a termine. Non abbiamo mai saputo quello che fece l'Eterno in quei giorni, ma nel
pomeriggio del giorno seguente eravamo nuovamente in libertà, accolti con gioia dai
fratelli e tutti assieme allegri nel Signore.